Sarebbe un punto di svolta per la Libia, dalle pesanti conseguenze. La capitale Tripoli è scossa da lotte armate tra i numerosi clan in lotta. Nella giornata del 14 maggio, mentre si annunciava il cessate il fuoco – dopo più di 90 morti e decine di feriti – il generale Almasri, principale oppositore del governo, ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Tripoli e una minaccia di consegna alla Corte penale internazionale. Le pesanti conseguenze, quindi, potrebbero coinvolgere anche l’Italia, che a gennaio lo aveva riaccompagnato in Libia con un volo di Stato.
Gli scontri – Non si sa se la tregua reggerà: le milizie non sono scomparse dalle strade e le forze governative hanno sparato sulla folla la sera stessa. Gli scontri armati erano iniziati due giorni prima, dopo l’uccisione del comandante Abdel Ghani al-Kikli. La capitale libica è da tempo spartita tra numerosi clan in lotta per il controllo dei territori, ma non si sparava così da anni. Bande armate camuffate da milizie affiliate alle istituzioni. L’uccisione di al-Kikli, noto anche con il soprannome di Gheniwa, ha portato alla sconfitta della sua milizia, l’Apparato di supporto alla stabilizzazione (Ssa), legata al governo e accusata da diverse Ong internazionali di essere coinvolta nelle violenze sui migranti. Nata come scorta armata per i funzionari del governo, è presto diventata un potente gruppo armato a controllo del quartiere di Abu Salim. Intanto, il timore che nel disordine generale di questi giorni il comandante Khalifa Haftar (che ha il controllo sulla Cirenaica, la parte a Est della Libia) potesse marciare in direzione Tripoli con il suo Esercito nazionale libico (Lna) si è fatto realtà. Haftar è sostenuto dalla Russia e dall’Egitto. Se arrivasse a Tripoli lo scontro diventerebbe generalizzato e non si esclude il coinvolgimento di altre potenze. Vicino ai gruppi islamici tripolini c’è il Qatar, mentre a sostegno del governo regolare c’è la Turchia.
Il governo – L’unico governo della Libia riconosciuto a livello internazionale è quello del presidente Abdulhamid al-Dbeibah, che nega un bilancio così grave di morti e feriti nei giorni di scontri. «Le forze regolari – ha dichiarato il ministro della Difesa – hanno iniziato a prendere le misure necessarie per garantire la calma, compreso il dispiegamento di unità neutrali». Gli scontri degli scorsi giorni sembrano aver rafforzato il potere del governo di unità nazionale (Gnu) di al-Dbeibah, sostenuto da Brigate importanti come la 444 e la 111 in Tripolitania e le forze di Misurata. Quelli più intensi sono stati proprio tra la 444 e la Forza di deterrenza speciale (Rada), ai cui vertici c’è il generale Almasri che ora rischia di essere arrestato e consegnato alla Corte penale internazionale.
Almasri – Il primo obiettivo del presidente al Dbeibah è proprio Almasri. Lo scioglimento della sua “polizia giudiziaria” ha permesso la riapertura di prigioni dove erano detenuti anche giornalisti, attivisti e oppositori. Ma i migranti non sono stati liberati. La Procura di Tripoli ha aperto un’inchiesta contro di lui per abusi e crimini nella gestione delle carceri. Reati che sono al centro del suo mandato di arresto internazionale al quale è sfuggito quattro mesi fa quando Roma, dopo la cattura a Torino del 18 gennaio, ha deciso di non convalidare l’arresto e di rimpatriarlo con un volo di Stato tre giorni dopo. Lo stesso giorno il ministro degli Esteri Antonio Tajani avrebbe ricevuto pressioni dalla Libia con una lettera in cui l’ambasciatore Muhannad S. A. Younes chiedeva «l’estradizione di un cittadino libico». A rivelarlo sono i documenti dell’inchiesta che vede la presidente Giorgia Meloni, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano indagati per favoreggiamento e peculato.