«Ci danno in corsa per il podio? E allora corriamo». Per Kolë Laca e Beatriçe Gjergji, gli Shkodra Elektronike in gara per l’Albania, l’Eurovision Song Contest è una di quelle prime volte che non si dimenticano. «Qui è una grande festa, bisogna divertirsi», raccontano. Martedì 13 maggio hanno staccato il pass per la Grand Final di sabato 17, durante la quale saranno gli ultimi a esibirsi. La loro “Zjerm” (letteralmente “Fuoco”) ha conquistato il pubblico e anche gli addetti ai lavori. Parlano benissimo italiano perché vivono da anni in Italia, ma sono originari di Scutari (Albania). Li abbiamo incontrati in un hotel nel centro di Basilea.

Beatriçe Gjergji canta “Zjerm” durante la semifinale di martedì 13 maggio (Photo credit: EBU/Sarah Louise Bennett)
Per voi è la prima volta all’Eurovision. Cosa vi piace della manifestazione?
«L’idea di conoscere nuove persone e poter collaborare con artisti da tutta Europa. Li abbiamo incontrati quasi tutti nei pre-party prima di questa settimana, che è un frullatore. Abbiamo capito che vivono questa esperienza come noi, pensando a una grandissima festa».
Il vostro brano, Zjerm, è una proposta internazionale. Vi aspettavate questo affetto?
«Mentre la componevano abbiamo pensato che fosse una bella canzone, ma non sapevamo come il pubblico avrebbe potuto recepirla. All’inizio abbiamo capito che stava funzionando per gli albanesi, poi, quando è stata pubblicata su YouTube, abbiamo visto i numeri crescere in modo spropositato. Il nostro progetto era solo presentarci al pubblico albanofono perché il nostro disco è in albanese. Nel momento in cui abbiamo visto gli ascolti salire, avevamo già raggiunto il numero di persone che ci bastava. Tutto quello che è venuto dopo è una specie di sogno».
Zjerm parla anche di pace. Uno dei versi recita: “Immagina un minuto senza bisogno di soldati, nessuno sarebbe orfano”. Quanto è importante per voi in questo periodo di guerra portare un messaggio così sul palco?
«Ci tenevamo a esprimere un concetto importante e rappresentarlo con un’immagine semplice che potessero capire tutti, dai bambini agli anziani. Pensiamo che nessuno voglia che ci siano orfani o speri di vivere accerchiato da soldati. Ovviamente la situazione è più complessa di così, ma il desiderio umano di vivere in tranquillità e pacificamente per il tempo che ci è stato dato è universale».
Com’è nato il testo?
«Lo abbiamo scritto pensando anche alla nostra città, Scutari, a come ci si viveva. Una volta era tutto molto più complicato rispetto all’Italia, ma per noi rimane un posto speciale. Lì, quel verso sull’avere un minuto senza soldati né orfani era pura immaginazione. L’augurio è non vedere niente del genere né dal vivo né in televisione».

Kolë Laca concentrato durante l’esibizione sul palco del St.Jakobshalle (Photo credit: EBU/Alma Bengtsson)
Come avete messo in piedi la vostra performance?
«Il team che lavora con noi ha totale libertà creativa, non abbiamo gerarchie. Ha interpretato musica e testo della nostra canzone e li ha trasformati in uno show per l’Eurovision, facendo in modo che i nostri personaggi e il messaggio che volevamo trasmettere venissero compresi. Abbiamo la fortuna di lavorare con persone di cui ci fidiamo ciecamente: ognuno fa il suo e dà il massimo, senza pressioni».
Avete pensato a una versione in italiano del vostro brano?
«Non crediamo ce ne sia bisogno. La canzone funziona per il suono che ha e per il testo che secondo noi è una poesia, in questa lingua un po’ particolare che nessuno conosce. Noi facciamo questo e pensiamo anche di essere una delle proposte più interessanti ad avere un legame con l’Italia nelle edizioni dell’Eurovision degli ultimi anni».
A proposito di Italia. Cosa pensate di Lucio Corsi e di “Volevo essere un duro”?
«Non abbiamo conosciuto molto Lucio perché non ha partecipato ai pre-party e un po’ ci dispiace. Personalmente lo apprezzo molto (afferma Beatriçe, ndr), mi piace la forma di rivoluzione che ha portato a Sanremo arrivando secondo. Non era scontato che un cantautore venisse così amato. Con lui trovo una connessione perché sia nel nostro testo che nel suo si parla di persone normali e non capita spesso che accada in due brani dello stesso Eurovision».