Nel mercato dei libri c’è un prima e un dopo. A dare questa svolta, uno che con la letteratura non c’entra molto: il generale Roberto Vannacci. Non è certo per il contenuto, né per quel tocco di populismo che piace a molti, ma per la modalità di pubblicazione del suo Il mondo al contrario, andato alle stampe in Self Publishing (l’autopubblicazione). Sarà per merito del generalissimo, sarà perché i tempi sono cambiati. Sta di fatto che il Salone del libro di Torino per il secondo anno consecutivo ha dato spazio agli autori che si pubblicano da soli. Raggruppati in un piccolo stand nell’ultimo padiglione, un gruppo eterogeneo di scrittori ha offerto al pubblico le loro pubblicazioni. Sul fondo della prima pagina nessuna casa editrice, solo il nome dell’autore, che è anche il produttore e il venditore del testo.
L’autoproduzione – Il parterre degli scrittori è variegato. C’è chi come Massimiliana Vernier è alla sua prima pubblicazione e con il sorriso della novizia affronta senza troppa aspettativa la fiera: «Il mio libro Nen, parla di un lutto. Nasce come un’esigenza personale e per me la soddisfazione è vederlo stampato, nulla di più». Più navigata invece Eleonora Lanzi, in arte Betty Ivy, alla sua terza pubblicazione, con qualche remora sull’organizzazione: «Ci hanno messo in un angolino, l’allestimento è un po’ confusionario e le persone fanno fatica a capire di che genere sono i nostri libri. Sono felice che diano spazio all’autopubblicazione ma così non è molto utile». Lanzi arriva da due pubblicazioni con casa editrice ma alla terza ha preferito fare da sé: «Ci sono tanti editori che ti lusingano dicendoti che il tuo libro è straordinario. Poi ti offrono contratti dove tu hai l’obbligo di comprare 50/100 copie, senza editing e con una percentuale molto bassa sulla vendita delle copie». A queste condizioni Lanzi ha preferito la libertà dell’autopubblicazione, ma ci tiene a precisare che «ho scelto dei professionisti per farmi correggere il testo e per disegnare la copertina». Nonostante gli sforzi i clienti non sembrano fioccare. Tanto che a Massimiliana Vernier scappa un «sono felice anche se ne vendo solo uno. Anzi mi va bene anche se lo rubano. Così almeno so che qualcuno ce l’ha a casa». Se le vendite non arrivano alcuni considerano la spedizione già unicamente come un’opera di networking, aspettando il momento giusto per regalare una copia agli illustri ospiti della kermesse.
Il successo dei rosa – Non tutti però tornano a casa con gli scatoloni pieni. In fondo allo stand c’è chi monopolizza la scena. Sono le autrici della serie rosa Royal. Una collana di libri romance scritto da cinque autrici. Tra queste c’è Deborah P. Cumberbatch che ha realizzato il quarto episodio della serie. Per la prima volta al Salone del libro di Torino, la scrittrice festeggia il sold out mentre firma le ultime copie: «Io non mi precludo alle case editrici. Però bisogna dire che questa modalità di autopubblicazione sta dando ottimi risultati». La cosa più difficile rimane farsi conoscere ma se hai un prodotto adatto ai social è più facile: «Noi pubblicizziamo tutto su Instagram e Facebook» e il risultato si vede, centinaia di selfie postati dalle fan con l’autrice. Per Simona Adriani, che ha portato al Lingotto il suo Storia d’amore e di Ayahuasca, particolare viaggio personale per uscire dalla depressione il Salone del libro è troppo generalista: «Qui viene chiunque. Chi ama il giallo, il fantasy, il romanzo rosa. Un libro come il mio si perde nel totale. Meglio festival più settoriali». Il problema per molti rimane quello del pregiudizio, dice Eleonora Lanzi: «Gli italiani hanno ancora il timore che un libro autoprodotto non sia di qualità. In America è tutta un’altra cosa. Stephen King si autoproduce così come la serie fantasy Eragon, realizzata dall’autore Christopher Paolini». Un pregiudizio che in realtà in alcuni, specifici, casi non ha troppo senso di esistere così come afferma anche l’editrice Francesca Piazza, di Golem Edizioni: «Credo che in alcuni casi l’autopubblicazione può avere un senso. Ci deve essere in ogni caso un buon lavoro di editing e una buona veste grafica. Il fattore decisivo è però che tu sia già un autore noto o comunque una personalità, sennò è molto complesso. Non nego però che un’autrice che collabora con me ha altri testi auto-pubblicati». La casa editrice rimane fondamentale però in moltissimi altri casi perché «il tuo libro non può rimane solo sul web. Volente o nolente sono ancora le librerie i luoghi dove si acquistano i testi e se sei fuori da quel giro c’è poco da fare».
Le case editrici a pagamento – Il fronte comune però tra editori e “autori-editori” è quello del contrasto alle case editrici a pagamento. Quello che Golem Edizioni non è, e critica aspramente: «Molto meglio un libro auto-prodotto che uno realizzato da case editrici che fanno pagare l’autore. Quelle sono stamperie travestite da case editrici». Gli fanno eco molti degli scrittori autoprodotti che affollano lo stand di Torino. Tutti loro hanno preferito la tecnica sovranista di Vannacci, “io sono l’unico proprietario del mio libro” con nessuna intenzione di tornare indietro.