La debole domanda di titoli americani (T-Bond) nell’asta di mercoledì 21 maggio ha riacceso i riflettori sulla sostenibilità del debito americano. In collocamento c’erano 16 miliardi di dollari di obbligazioni governative con scadenza a 20 anni ma la bassa richiesta (2,46 volte superiore all’offerta contro le 2,63 della precedente asta) ha spinto in alto i rendimenti su tutta la curva: 4,6% per il decennale e 5,04% per il titolo a 30 anni.

Un test importante – L’asta era attesa come un test dagli investitori dopo il downgrade dell’agenzia di rating Moody’s che venerdì 16 maggio aveva declassato il debito pubblico americano togliendo la Tripla A (giudizio di massima affidabilità) e allineandosi alla valutazione AA1 (alta affidabilità) assegnata dalle altre due agenzie di valutazione: S&P e Fitch. La perdita della Tripla A era stata spiegata con l’aumento del debito statunitense, arrivato a superare il 123% del Pil (livello più alto dalla Seconda guerra mondiale). A preoccupare anche il deficit pubblico, previsto sopra al 6% anche nel 2025: un valore che di solito si raggiunge per compensare gli effetti di una recessione e non, come in questo caso, in una fase di crescita economica. In una nota, Moody’s aveva descritto il problema come bipartisan accusando: «I governi successivi e i funzionari eletti che non sono riusciti a concordare misure per invertire la tendenza, il che ha portato a un deficit annuale significativo».

La spirale del debito – In questo scenario pesano le ricette economiche dell’amministrazione Trump che spingono ulteriormente sulla crescita del debito per finanziare un taglio delle tasse. È infatti in discussione alla Camera il disegno di legge noto come “One Big Beautiful Bill” che dovrà attuare la proroga dei crediti d’imposta voluti dal presidente nel 2017 durante il suo primo mandato, in scadenza a fine anno. Una riduzione della tassazione sulle imprese finanziata solo in parte da tagli alla spesa pubblica che, per il resto, si regge su entrate derivanti da un aumento del debito pubblico stimato tra i 3.000 e i 5.000 miliardi di dollari in 10 anni.
Nella logica economica del governo, il taglio di tasse dovrebbe far crescere l’economia a un livello tale da produrre, poi, maggiori entrate per le casse pubbliche. Di fatto una manovra capace di ripagarsi da sola. Gli investitori appaiono però scettici di fronte a una promessa di crescita economica incerta e a un debito pubblico che, invece, certamente aumenterà. E per questo gli interessi di questi titoli si sono alzati a 4,6% per il decennale e 5,04% per il titolo a 30 anni. Perché si tratta di un debito percepito come più rischioso. Dall’altra parte però, pagare interessi più alti su un debito già molto grande (parliamo di 36mila miliardi di dollari) significa che questo aumenterà ancora più velocemente. Infatti un conto è che lo Stato americano si faccia rifinanziare con interessi al 3%, tutt’altro se lo fa al 4 o al 5%: vuol dire che rischia di fare nuovo debito per ripagare il vecchio.

Il caso Liz Truss – I più attenti avranno colto similarità con le dinamiche che portarono, a ottobre 2022, la prima ministra inglese Liz Truss alle dimissioni dopo soli 45 giorni di governo. La premier succeduta a Boris Johnson aveva infatti presentato una legge di bilancio incentrata su un enorme taglio di tasse finanziato quasi completamente a debito. Il risultato vide la Banca d’Inghilterra intervenire prontamente sul mercato perché i tassi d’interesse sulle obbligazioni inglesi stavano diventando rapidamente insostenibili mentre la sterlina colava a picco.

Il verdetto dei mercati – Il risultato deludente dell’asta ha affossato anche il mercato azionario con i principali indici Usa che hanno chiuso in calo: Dow Jones – 1,91%, Nasdaq -1,34&, S&P 500 -1,6%. Anche il Bitcoin ha invertito la rotta chiudendo sotto i 107mila dollari dopo aver toccato, in giornata, il nuovo massimo storico di 110mila dollari.