«Stiamo per consegnare una nuova bozza di accordo preliminare», ha annunciato Steve Witkoff, l’inviato speciale statunitense per il Medio Oriente. I nuovi termini di una possibile intesa tra Israele e Hamas dovrebbero finire sulla scrivania del presidente Donald Trump «al più tardi oggi», ha comunicato il funzionario. Witkoff dice di avere «ottime sensazioni sul fatto che si arriverà a una soluzione a lungo termine». Ma prima di pensare al futuro bisogna guardare all’immediato: Israele non ha ancora dichiarato ufficialmente se ha intenzione di accettare le nuove condizioni mediate dall’amministrazione Usa, mentre Hamas ha comunicato di essere «in attesa di una risposta finale» su un «quadro generale» accordato con Witkoff.

I termini – Nella stessa nota il gruppo islamista ha fatto sapere che l’accordo comprenderebbe «un cessate il fuoco permanente, un ritiro completo dalla Striscia, il flusso di aiuti umanitari e il trasferimento dell’amministrazione della Striscia a un comitato professionale dopo l’annuncio dell’intesa». Per la prima volta Hamas parla di cedere la gestione di Gaza a un altro organismo, ma non arretra su uno dei punti cruciali per il governo Netanyahu: il totale disimpegno di Israele dall’enclave palestinese.
Un ufficiale israeliano ha smentito la versione di Hamas, riporta The Times of Israel: la proposta statunitense prevederebbe il rilascio di dieci ostaggi vivi e i corpi di 18 deceduti durante la prigionia nella Striscia (condizioni di cui ha parlato nel suo comunicato anche Hamas) in cambio di 60 giorni di cessate il fuoco. Israele, quindi, accettando questi termini, non sarebbe obbligarta a porre fine al conflitto. Hamas ha anche scritto che il governo di Gerusalemme si impegnerebbe a rilasciare un numero concordato di prigionieri palestinesi: il canale panarabo Al Ghad parla di 1111 gazawi detenuti dall’inizio della guerra, 125 prigionieri con condanna all’ergastolo e 180 salme palestinesi nelle mani israeliane.

L’opposizione degli oltranzisti – Mentre il leader dell’opposizione al governo Netanyahu Yair Lapid chiede al premier israeliano di accettare la proposta di cessate il fuoco, gli alleati della destra religiosa al governo con “Bibi” chiedono altro tempo per le operazioni nella Striscia. «Non abbandoneremo le aree che abbiamo conquistato. Hamas è in difficoltà», ha dichiarato il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, che si oppone a offrire al gruppo autore degli attacchi del 7 ottobre «un’ancora di salvezza». Dello stesso parere Orit Strock, ministra degli Insediamenti e dei Progetti Nazionali, per cui Israele non dovrebbe «piegarsi» ora. Sono proprio i ministri di ultradestra, inflessibili sia sulla questione ostaggi che su quella degli aiuti umanitari nella Striscia, che Netanyahu sta cercando di accontentare dall’inizio del conflitto per evitare di veder cadere il proprio esecutivo. La loro contrarietà a un accordo potrebbe essere quindi bilanciata da altre concessioni: Israele ha autorizzato altri 22 insediamenti ebraici in Cisgiordania, legalizzandone alcuni già realizzati senza approvazione governativa. Per il responsabile della difesa Israel Katz la decisione «rafforza la posizione israeliana in Giudea e Samaria (termini biblici usati per indicare la West Bank ndr» e «rafforza il nostro asse esterno rispondendo alla crescente minaccia alla sicurezza». Mentre Gideon Saar, a capo del ministero degli Esteri, ha lodato i coloni in Cisgiordania come «popolazione più esposta al terrorismo al mondo» in un post di condoglianze sui social. Saar, così come Benjamin Netanyahu, hanno infatti espresso cordoglio per la morte di un neonato partorito due settimane fa da Tzeela Gez, 30enne uccisa in un attacco in West Bank.

La situazione a Gaza – Intanto l’offensiva a Gaza avanza: sono almeno 19 le vittime di un bombardamento sul campo di rifugiati di Bureji, nel centro della Striscia. Il ministero della salute locale controllato da Hamas ha fatto sapere che il numero di vittime palestinesi è salito a 54,249 dall’inizio del conflitto, 67 arrivate negli ospedali nelle ultime 24 ore.
Crescono le condanne internazionali per come Israele ha deciso di porre rimedio a oltre due mesi di blocco agli aiuti umanitari nella Striscia. Secondo le Nazioni Unite, il piano israeliano di affidarsi a società private per la distribuzione è un tentativo di controllo del flusso di aiuti: «viola i principi umanitari» e costituisce un «assalto alla dignità umana» dei palestinesi. La Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), organizzazione israelo-americana che appalta a contractor la gestione della sicurezza, ha reso operativi due centri di distribuzione degli aiuti nelle vicinanze di Rafah. Hamas riporta la morte di un uomo e il ferimento di 47 persone quando martedì 27 maggio centinaia di gazawi si sono affollati alle porte di un hub della Ghf.
Il Guardian ricostruisce che mercoledì 28 quattro persone sono morte tentando di fare irruzione in un centro del World Food Programme a Deir al-Balah. Due vittime hanno segni di colpi di arma da fuoco, ma non è ancora chiaro chi abbia sparato.