Nelle sue opere aveva decostruito la perfezione formale e così, nella morte come nell’arte, Arnaldo Pomodoro se n’è andato domenica sera, poche ore prima di compiere novantanove anni. Lo ha annunciato nella mattinata successiva, il 23 giugno, la Fondazione a suo nome. «Il mondo dell’arte perde una delle sue voci più autorevoli, lucide e visionarie», ha scritto la direttrice generale Carlotta Montebello.

Arnaldo Pomodoro tra alcuni modellini delle sue opere esposte al Museo della Tecnologia di Milano durante l’Expo del 2015
Una carriera lunga 60 anni – Nato a Morciano di Romagna nel 1926 e formatosi come geometra a Pesaro, Pomodoro ha presto capito che l’arte era la sua strada, giungendo gradualmente alla scultura. Riservato, non si hanno molte notizie sulla sua vita privata, Pomodoro non si era sposato e non aveva figli. Aveva però un fratello anch’egli scultore, Giorgio (Giò) Pomodoro, specializzatosi nell’arte astratta. Una corrente diversa da quella di Arnaldo, che ha invece utilizzato sin dagli inizi negli anni ’50 lo stile che lo ha reso celebre prima in Italia e poi nel resto del mondo: mostrare gli asimmetrici meccanismi interni di oggetti perfetti esternamente. Sulle superfici levigate di figure geometriche armoniche, come sfere, dischi e coni, Pomodoro apriva degli squarci a mostrare l’interno delle grandi figure, pieno di parallelepipedi dentellati o altre sfere, simili a giunture, ingranaggi e cerniere. Dopo un’iniziale fase di sperimentazione con vari materiali, in contatto con un altro grande artista italiano della generazione precedente, Lucio Fontana, Pomodoro aveva trovato il materiale più adatto nel bronzo, che lo ha accompagnato fino all’ultima Sfera del 2013. In parallelo alla scultura, per tutta la vita Pomodoro si è dedicato anche alla scenografia, curando, nelle sue parole, la «mediazione visuale del testo con inventività e fantasia per un nuovo pubblico in un altro e diverso periodo storico» per i maggiori palchi italiani.
La Milano di Pomodoro – Nella Milano dove viveva dal ‘54, vicino alla Darsena, Pomodoro ha lasciato come testimonianza molte opere: il Grande Disco in piazza Meda e tante altre forme ospitate dalle Gallerie d’Italia e dal museo del Novecento. Ma il lascito più sentito è quello della Fondazione, ora in via Vigevano, che l’artista intendeva come un luogo di interazione e contaminazione con la società e i nuovi giovani artisti. La Fondazione aveva avuto peraltro come sede le ex Officine Meccaniche Riva-Calzoni in via Solari, ora diventate uno showroom di Fendi, in cui si trova ed è ancora visitabile il Labirinto, un grande spazio sotterraneo costruito con richiami a forme e temi mitici, come l’epopea sumera di Gilgamesh.

Il Grande Disco (o “Disco Solare”), in piazza Meda a Milano
Le altre opere – Tra le altre opere più famose dell’artista ci sono la Lancia di luce di Terni, un obelisco che richiama l’industria siderurgica della città, mentre Roma ospita di fronte alla Farnesina una delle prime grandi sfere di Pomodoro, realizzata per l’Expo di Montreal nel 1966, un’altra sfera nel cortile dei Musei Vaticani e l’obelisco al Novecento vicino al Palazzo dello sport. Spostandoci all’estero troviamo invece la piramide squarciata Colpo d’ala a Los Angeles e soprattutto la Sfera con sfera posizionata nel 1996 fuori dalla sede delle Nazioni Unite a New York, per celebrare il cinquantesimo anniversario dell’Organizzazione.
Arte outdoor – Pomodoro apprezzava la collocazione in luoghi aperti delle sue opere. Proprio riguardo la Sfera newyorchese, aveva dichiarato: «Per me la massima aspirazione è quella di avere come ambiente per le mie opere l’aperto, la gente, le case, il verde. Sono perciò contento che molte mie sculture siano collocate in importanti piazze del mondo e in luoghi significativi, come il piazzale delle Nazioni Unite». Non c’è dubbio che le sue sfere, ritenute dallo scultore «le forme più magiche» che esistano, siano riuscite nell’intento di creare nuove percezioni nei passanti di tutto il mondo.