Dopo mesi di discussioni, i 32 Paesi della Nato hanno deciso: la spesa militare salirà dal 2% al 5% del prodotto interno lordo entro il 2035. Nel punto stampa conclusivo, la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha definito l’accordo «sostenibile» e «necessario» per la sicurezza nazionale. Come riportato da Il Giornale, la premier guarda al futuro con ottimismo: «Nemmeno un euro verrà tolto dalle priorità del governo e dei cittadini italiani». Eppure, non è chiaro come si possa raggiungere l’obiettivo. Al momento, la spesa militare italiana pesa l’1,57% del Pil. Per raggiungere il 5% servirebbero quindi 70 miliardi, oltre ai 30 già spesi attualmente.
Secondo un’ipotesi diffusa fra gli economisti, Meloni intenderebbe finanziare la manovra attraverso emissione di debito pubblico, ottenendo una deroga del Patto europeo di stabilità. Se così non fosse, l’alternativa sarebbe un forte aumento delle tasse oppure ingenti tagli al welfare, soprattutto nei settori della sanità e dell’istruzione.

L’accordo – L’impegno sottoscritto a L’Aja ha una faccia duplice. Da un lato, il 3,5% del Pil sarebbe dedicato alle spese militari “tradizionali” come l’acquisto di armi, munizioni, mezzi di trasporto oltre agli stipendi e alle pensioni dei soldati. Il sostegno all’Ucraina rappresenta un’ulteriore novità da mettere a bilancio. Dall’altro lato, l’1,5% si rivolgerebbe alla sicurezza nazionale ossia ricerca tecnologica, cybersicurezza e potenziamento delle infrastrutture. Da questo punto di vista, Meloni spera che gli investimenti producano un ritorno positivo in futuro e che siano una spinta verso un’Italia più indipendente nel settore tech. 

Le ripercussioni – L’osservatorio Milex ha stimato una spesa decennale di 700 miliardi, calcolata sulla base delle previsioni di crescita del Pil indicate dal governo (+2,6%). Una cifra enorme e, sulla carta, difficilmente sostenibile dall’Italia che è uno dei membri Nato dal più elevato debito pubblico. Come notato da Carlo Cottarelli sul Corriere, l’Italia ha sostenuto spese simili soltanto durante la Guerra Fredda, nel 1954. L’agenzia di rating Standard & Poor’s, come già riportato il 18 febbraio da Il Fatto Quotidiano, considerava i costi «ben al di sopra di quanto i singoli Stati possono finanziare senza compensare tali esborsi con altre riduzioni della spesa». Nello specifico, le alternative sono due: o aumentare le tasse, in un Paese che ha un grosso problema di evasione fiscale, oppure affossare il welfare. Per dare qualche numero, nel 2023 la spesa previdenziale ammontava a 90 miliardi, mentre la spesa per la Sanità ad oggi tocca i 131 miliardi, ossia circa il 6% del Pil. Un solo punto percentuale in più rispetto alle nuove spese militari.