La moda è ciclica. I direttori creativi lo sono ancora di più. Le dinamiche del fashion assomigliano sempre più a quelle del calciomercato. O a quelle dei giochi da tavolo. Gli art director sono allenatori che passano da una squadra all’altra. Pedine di un tabellone troppo affollato.
Crisi e cambi di strategia – Il “valzer” dei direttori creativi, oltre a far girare la testa, conferma la profonda crisi del settore. Dopo anni di conti in verde e guadagni ultra-milionari, la crescita inarrestabile del lusso ha cominciato a scricchiolare. Nel 2025 si contano cinquanta milioni di consumatori persi e un calo della produzione in volume che oscilla tra il 20 e il 25 per cento rispetto a due anni fa. Inoltre, in base alle indicazioni della banca internazionale HSBC, dal 2019 al 2024 il prezzo dei prodotti del lusso è salito del 54%. Il rialzo è significativo soprattutto per la piccola pelletteria e le borse. L’iconica borsa di Chanel modello 2.55 è passata da 5.800 a 11.100 euro mentre il bauletto di Louis Vuitton ha raddoppiato il prezzo, da 800 euro a 1.600. Un’instabilità evidente, non solo economica, che si riflette nei numerosi cambi di strategia dei gruppi della moda di lusso. Che si tratti di Lvhm o Kering, cambia poco. Da John Galliano e Matthieu Blazy, fino ai più recenti Demna Gvasalia e Pierpaolo Piccioli. Il primo ha lasciato Maison Margeila dopo più di dieci anni, il secondo ha ottenuto l’ambito ruolo di creative director di Chanel. Dopo venticinque anni di lavoro creativo, Piccioli ha invece salutato Valentino, e approderà il 10 luglio a Balenciaga, ereditata dal designer georgiano Gvasalia.
Perfetti (s)conosciuti – Mosse audaci e cambi di strategie, il Risiko della moda ha regole tutte sue. Se in passato il gruppo Kering promuoveva giovani designer provenienti dalle retrovie, nell’ultimo anno ha preferito affidarsi a nomi di livello, spezzando quella catena di outsider che, come Tom Ford e Frida Giannini, hanno saputo imprimere svolte significative al marchio. Con un ritorno alle origini, Demna a Gucci e Piccioli a Balenciaga, l’obiettivo è quello di inserire nel proprio roster di direttori creativi nomi già molto conosciuti e ammirati nel settore, ma soprattutto già pratici con la couture.
Non solo un’etichetta – Se da un lato il fashion system vive di novità e si nutre di mutamenti, dall’altro le case di moda hanno bisogno di radici, di tradizioni, di una direzione consolidata che sappia rappresentare al meglio la storicità e l’unicità di quel marchio. In questo continuo gioco delle sedie, i direttori creativi non fanno nemmeno in tempo a prendere posto, tralasciando i codici stilistici più classici e iconici di quella maison. Troppi cambiamenti finiscono per affievolire l’identità e l’autenticità del brand, allontanando i clienti fedeli e affezionati. I soli, forse, a ricordare che il marchio di una maison non è mai una semplice etichetta. E nemmeno un semplice nome. È la sua storia. La sua essenza. La sua anima.