Il 2 luglio è stato adottato dalle commissioni di Palazzo Madama il testo base del disegno di legge sul fine vita proposto dalla maggioranza. Sarà la base da cui partirà l’esame al Senato. Messo ai voti delle commissioni Giustizia e Sanità, ha avuto il via libera del centrodestra, contrarie tutte le opposizioni. Le commissioni hanno anche stabilito che entro l’8 luglio si potranno presentare emendamenti al testo. All’inizio della scorsa settimana l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato una raccolta firme per depositare una proposta di legge per legalizzare tutte le scelte di fine vita, inclusa l’eutanasia. L’obiettivo è raggiungere quota 50.000 firme entro il 15 luglio visto che l’inizio della discussione del testo è fissata per il 17.
Fondata nel 2002 da Luca Coscioni, leader Radicale e docente universitario, malato di sclerosi laterale amiotrofica, l’Associazione che porta il suo nome ha promosso varie proposte di legge d’iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia. Il termine eutanasia, come spiegato nel sito, comprende «gli interventi medici che prevedono la somministrazione diretta di un farmaco letale al paziente che ne fa richiesta e soddisfa determinati requisiti». Un concetto diverso da quello di suicidio medicalmente assistito che, come chiarito sempre nel sito, «prevede l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico». Le condizioni richieste sono tre: la persona che ne fa richiesta deve essere pienamente capace di intendere e volere, deve avere una patologia irreversibile portatrice di gravi sofferenze fisiche o psichiche, e deve sopravvivere grazie a trattamenti di sostegno vitale. Grazie alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale il suicidio assistito, a differenza dell’eutanasia, può essere richiesto. Nonostante il dibattito sia iniziato già nel 2006, in Italia non esiste ancora una legge esplicita sul fine vita.

Piergiorgio Welby nello stadio terminale della malattia (fonte: Associazione Luca Coscioni)
I casi principali: Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e dj Fabo – Tra i primi casi c’è quello di Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare in forma progressiva dall’età di 16 anni. Nel 2006, a 60 anni, rese pubblica la decisione di voler ricorrere all’eutanasia con una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Un messaggio che innescò un grande dibattito, con Welby che ribadì la volontà di rinunciare alla ventilazione assistita. Al rifiuto del medico, si appellò alla magistratura con un ricorso che fu respinto dal tribunale civile che riconobbe l’esistenza di un diritto soggettivo a interrompere la terapia, ma evidenziò la mancanza di una normativa specifica sui trattamenti di fine vita. Di fronte al prolungarsi dello stallo legislativo, Welby annunciò che avrebbe fatto comunque ricorso all’eutanasia pur di garantire il proprio diritto a una morte dignitosa indicando la disobbedienza civile come unica via percorribile. Welby accettò la disponibilità dell’anestesista Mario Riccio che, verificata la sussistenza delle condizioni terminali e la volontà del paziente, il 20 dicembre 2006 interruppe la terapia ventilatoria.
Poco meno di tre anni più tardi, il 9 febbraio 2009, in una clinica di Udine venne interrotta l’alimentazione artificiale che teneva in vita Eluana Englaro, in coma dal 1992. Dopo un incidente stradale a Lecco, la ragazza all’epoca ventiduenne era entrata in una condizione definita dalla letteratura medica «vegetativa permanente e irreversibile». Per questo motivo la famiglia, a partire dal 1999, provò più volte, ma senza successo, a chiedere la sospensione dell’alimentazione. Nel 2007 si espresse la Corte di Cassazione, autorizzando il giudice a sospendere il trattamento in presenza di due circostanze: lo stato vegetativo irreversibile della paziente e l’accertamento che questa, se cosciente, non avrebbe prestato il proprio consenso alla sua continuazione. Nel luglio del 2008 anche la Corte d’Appello di Milano aveva acconsentito alla sospensione, ma Regione Lombardia rifiutò di indicare una struttura nella quale poter eseguire la sentenza. Dopo la conferma della sentenza nel febbraio 2009 Englaro fu trasferita in una clinica di Udine disponibile a interrompere l’alimentazione artificiale, interruzione avvenuta il 9 dello stesso mese. Sempre il 9 febbraio il Senato si era riunito per discutere il disegno di legge 1369 che prevedeva il divieto di interrompere l’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo, nonostante il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si fosse rifiutato di firmare il precedente decreto legge. Alla notizia della morte di Englaro il Governo ritirò il disegno di legge.
Più recente è il caso di Fabio Antoniani, noto come dj Fabo. Rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale, scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera, il 27 febbraio del 2017. Con lui c’è Marco Cappato, esponente dell’Associazione Luca Coscioni, che il giorno successivo si autodenuncia. La procura di Milano è dunque obbligata ad accusarlo di aiuto al suicidio e per lui inizia il processo. L’articolo 580 del codice penale prevede infatti che «chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni». Il 23 dicembre 2019 la corte d’assise di Milano assolse definitivamente Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio perché il fatto non sussiste. Già nel 2018 la stessa corte aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, dubbi che hanno portato la Cassazione a esprimersi con una sentenza pubblicata il 27 novembre 2019. La sentenza dichiara illegittima una parte dell’articolo 580, ammettendo un ambito di un aiuto al suicidio non punibile, ossia se richiesto dal malato che si trovi in determinate condizioni, «senza creare – peraltro – alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici». Nonostante le pronunce della Cassazione in Italia manca ancora una legge
Il vuoto normativo sul fine vita – In Italia non esiste ancora una legge esplicita sull’eutanasia o sul suicidio medicalmente assistito. Le pronunce della Corte Costituzionale hanno colmato solo in parte questo vuoto, stabilendo condizioni di non punibilità, ma non sono riuscite a smuovere la situazione in Parlamento. L’unico riferimento sul fine vita in Italia è la legge n.219 del 22 dicembre 2017: “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (DAT)”. Tra i punti chiave l’articolo 1, che riguarda il consenso informato. Il paziente ha il diritto di conoscere diagnosi, prognosi, benefici e rischi dei trattamenti e di rifiutare o interrompere qualsiasi terapia. La legge considera trattamenti sanitari «la nutrizione e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici». Il medico deve rispettare la volontà del paziente ed è «esente da responsabilità civile e penale».
Le leggi regionali – Per colmare queste lacune all’inizio dell’anno alcune Regioni si sono mosse in maniera autonoma. La Toscana, l’11 febbraio 2025, ha approvato la proposta di legge “Liberi Subito”. La norma stabilisce che chiunque richieda una valutazione delle proprie condizioni di salute per accedere al suicidio medicalmente assistito debba ricevere una risposta entro un massimo di 30 giorni; in caso di esito positivo e conferma della scelta, l’assistenza deve essere erogata entro ulteriori 7 giorni. Il 14 marzo 2025, il presidente della Regione Eugenio Giani ha promulgato ufficialmente la legge. Il 9 maggio 2025 il Governo Meloni ha impugnato la legge toscana davanti alla Corte Costituzionale, con la Regione Toscana che ha poi comunicato la propria costituzione in giudizio davanti alla Corte. Nonostante l’impugnazione il 17 maggio, in provincia di Siena, è stato registrato il primo caso di morte volontaria assistita. La prima regione a discutere una proposta di legge era stata il Veneto nel gennaio 2024. Tuttavia, con 25 voti favorevoli, 22 contrari e tre astenuti, la legge non era stata approvata. Per l’approvazione era necessaria la maggioranza assoluta: su 50 presenti, sarebbero serviti 26 sì. In Lombardia la discussione si è invece bloccata dopo che nel novembre 2024, il Consiglio Regionale ha votato una questione di costituzionalità, ritenendo la materia di competenza statale.