È prevista nelle prossime ore una chiamata tra il presidente americano Donald Trump e il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky. Sul tavolo la decisione della Casa Bianca di interrompere nuovamente la fornitura di armi a Kiev, nonostante i rapporti tra le parti fossero migliorati rispetto a febbraio. Secondo il direttore politico del Pentagono Elbridge Colby, la decisione è stata presa per mettere al primo posto gli interessi americani e preservare gli arsenali del Pentagono, le cui scorte si starebbero abbassando in «modo preoccupante». Lo stop dovrebbe riguardare gran parte dei sistemi anti-missile: strumenti che hanno consentito all’Ucraina di reggere all’impatto degli incessanti bombardamenti russi. Le armi attese da Kiev rientravano nei pacchetti di aiuti autorizzati dall’ex presidente Joe Biden, e sebbene nessuna nuova spesa fosse stata autorizzata da Trump, le forniture erano continuate ad arrivare, a parte una breve pausa a marzo successiva alla discussione alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky.

Donald Trump nella Situation Room durante l’attacco USA all’Iran. Fonte: Ansa
Un rischio non calcolato – Se la pausa forzata alle forniture di proiettili da 155 millimetri e dei sistemi portatili Stinger può essere risolta con l’impiego delle armi che l’Ucraina ha ricevuto dalle nuove forniture europee, il vero problema è quello dei Patriot Pac3, gli unici missili in grado di abbattere quelli balistici scagliati contro le città ucraine. Attualmente le otto batterie donate da Paesi della Ue formano la principale cupola protettiva ucraina ma in Europa non ne vengono prodotti e tutti gli eserciti hanno le scorte al minimo. La mancata nuova fornitura americana – che Trump aveva detto di star considerando durante il vertice Nato – potrebbe aggravare la situazione di Kiev, che attualmente non riesce a difendersi come un anno fa dagli attacchi russi. Secondo il confronto realizzato dal sito Svoboda tra il mese appena concluso e il giugno 2024, la percentuale di droni abbattuti è scesa dal 95 al 74 per cento; quella dei missili dal 74 al 50 per cento. Nel frattempo Mosca è passata da 332 droni scagliati un anno fa ai 5.438 di oggi, sedici volte di più.
Mosse e contromosse – «Prima l’America», così Anna Kelly, Deputy Press Secretary della Casa Bianca, ha commentato la decisione del Pentagono, facendo eco a Colby, che ha spiegato in una nota il motivo del provvedimento: «Il Dipartimento della Difesa continua a offrire al presidente solide opzioni per continuare a fornire aiuti militari all’Ucraina, in linea con il suo obiettivo di porre fine a questa tragica guerra. Allo stesso tempo, sta esaminando e adattando il proprio approccio per preservare le forze militari statunitensi». Da Kiev, a cui non era giunta comunicazione ufficiale della decisione americana, è arrivata la risposta di Zelensky, che ha convocato l’ambasciatore americano John Ginkel: «Stiamo chiarendo la situazione con gli Usa», ha detto il presidente ucraino.
Situazione militare – Mentre Mosca esulta («Meno armi fornite a Kiev, più si avvicina la fine dell’operazione speciale», ha detto Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino), si può fare una stima di quante armi siano rimaste all’Ucraina nel caso in cui la decisione americana sia definitiva. Secondo gli analisti, l’Ucraina ha armi per almeno due mesi, con oltre il 40 per cento della produzione fatta in casa. Ad aprile, mese del colloquio in Vaticano tra Zelensky e Trump, l’Europa ha superato ufficialmente gli Stati Uniti per spese militari a sostegno di Kiev, con 72 miliardi di euro in forniture belliche contro i 65 americani. Sempre ad aprile, Zelensky si era detto pronto a comprare 10 batterie di patriot per 15 miliardi dagli Stati Uniti, scalando i soldi dai profitti che verranno generati dall’accordo con Trump per lo sfruttamento delle terre rare. Un accordo che verrà probabilmente discusso nella chiamata che le parti stanno organizzando per le prossime ore.