«Mi manca respirare», si legge su un cartello durante una manifestazione a Nuova Dehli di questa mattina. Il 10 novembre, nella giornata di apertura della Cop30 a Belém, in Brasile, dall’altra parte del mondo, la città dove vivono oltre 30 milioni di indiani si sveglia avvolta da una fitta coltre di smog. L’indice di inquinamento atmosferico della capitale, considerata la più inquinata del globo, ha superato quota 350, attestandosi nella fascia classificata come “molto scarsa” dal Central Pollution Control Board indiano.
Pare impossibile essere cosgtretti a reclamare il diritto all’aria pulita nel 2025, eppure «Respirare è un diritto» è stato anche lo slogan delle manifestazioni delle scorse settimane a Gabès, nel sud della Tunisia. Il Gruppo Chimico Tunisino produce fosfati con stabilimenti che stanno in piedi dal 1972 mai sottoposti a un’opera significativa di manutenzione e, soprattutto, con processi vietati nell’Unione europea. Ma il 90% della produzione è esportata proprio in Francia e Italia, destinata alle industrie di fertilizzanti per l’agricoltura intensiva. A pagarne il prezzo l’ecosistema della regione e soprattutto la popolazione locale sempre più colpita da tumori e patologie respiratorie.
L’Amazzonia – E come sta il Polmone verde del pianeta nel giorno di inizio della Conferenza, simbolicamente voluta proprio a Belém dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva? Il recente rapporto di Earth Insight denuncia che in tutta l’Amazzonia 31 milioni di ettari di territori indigeni si sovrappongono a siti di trivellazione di petrolio e gas e altri 9,8 milioni di ettari sono minacciati da concessioni minerarie. Come evidenzia il Corriere della Sera, in questo scenario il via libera alle trivellazioni esplorative lungo la foce del Rio delle Amazzoni, – uno degli ecosistemi più fragili del mondo – non è stato un bel segnale. Nemmeno considerando l’iniziativa lanciata da Lula della Tropical Forests Forever Facility, che avrebbe come obiettivo raccogliere 125 miliardi di dollari da investire in obbligazioni e distribuire i profitti come ricompensa ai Paesi e alle comunità che conservano le loro foreste. La simultaneità di iniziative che vanno in direzioni opposte ha generato più scetticismo che sollievo tra le popolazioni indigene dell’Amazzonia.

La città di Nuova Dehli avvolta dallo smog
Assenze di peso – Ma a destare perplessità non è solo il luogo simbolico della Cop30, quanto le assenze eccellenti. Stati Uniti, Cina e India non saranno presenti con le loro massime autorità: Pechino sarà rappresentata dal vicepremier Ding Xuexiang, Nuova Delhi dal proprio ambasciatore in Brasile, mentre Washington non ha inviato alcun delegato. Secondo i dati 2024 del Centro comune di ricerca dell’Ue, Cina, Stati Uniti e India sono responsabili di quasi il 50% delle emissioni globali di anidride cartbonica, mentre l’Unione europea contribuisce per appena il 5,9%. Come fa notare Wired però se si guarda alle emissioni pro capite, Cina e India hanno valori relativamente bassi e soprattutto la questione non è tanto chi emetta di più ora, in totale o pro capite, ma quanto sia stato emesso nella storia, perché la Co2 è un agente inquinante molto stabile che resta in atmosfera per centinaia di anni.
E qui entra in gioco l’economia, in particolare quella basata sui combustibili fossili: carbone, petrolio e gas. Se si utilizza l’acciaio indiano fatto con il carbone per produrre auto in Italia, la quantità di emissioni totale resta uguale, anche se in buona parte verrebbe imputata all’India e non all’Italia. Esattamente come l’inquinamento derivato dalla produzione dei fosfati resta a carico della Tunisia anche se solo una minima parte viene sfruttata all’interno del Paese.
Anche per questo gli osservatori temono che, ancora una volta, i programmi d’azione della Cop rischino di restare sulla carta. Le conferenze sul clima, infatti, si basano su impegni volontari, non su leggi vincolanti. Ma la portata del cambiamento necessario è enorme: serviranno almeno 1,3 trilioni di dollari di investimenti per il clima ogni anno entro il 2035, secondo le stime più recenti.
I limiti planetari – Un quadro aggravato dal Planetary Health Check 2025, pubblicato a settembre, che mostra come sette dei nove limiti planetari siano stati superati, uno in più rispetto al 2023. Le nuove conoscenze scientifiche e il peggioramento delle crisi ambientali hanno portato per la prima volta al superamento del limite dell’acidificazione degli oceani, finora appena al di sotto della soglia di pericolo. Sempre più sistemi vitali della Terra stanno raggiungendo punti di non ritorno, con conseguenze potenzialmente devastanti per gli ecosistemi e per le società umane. I limiti oggi violati riguardano: cambiamenti climatici, integrità della biosfera, cambiamento del sistema terrestre, uso dell’acqua dolce, flussi biogeochimici, nuove entità e acidificazione degli oceani. Solo l’esaurimento dell’ozono e il carico di areosol restano nella zona di sicurezza.
Senza un’azione urgente, gli scienziati avvertono che le temperature globali potrebbero aumentare tra i 2,3°C e i 2,8°C entro la fine del secolo, rendendo vaste regioni del pianeta inabitabili a causa di inondazioni, ondate di calore estremo e collasso degli ecosistemi.




