Non è ancora tempo di disgelo fra Cina e Giappone. Dopo i rispettivi attacchi diplomatici, il primo ministro cinese Li Qiang ha annunciato che non incontrerà l’omologa nipponica Sanae Takaichi in occasione del G20 in Sudafrica che inizierà il 22 novembre. La tensione tra i due Paesi, storici rivali nello scenario dell’Asia orientale, è cresciuta a partire dal 7 novembre, quando la prima ministra giapponese ha affermato in Parlamento che «se venissero utilizzate navi da guerra e altre azioni armate da parte della Cina contro Taiwan, potrebbe costituirsi una situazione di minaccia alla sopravvivenza del Giappone» e quindi causare un intervento nipponico in base alla dottrina dell’autodifesa collettiva. Un eventuale invasione di Taiwan rappresenterebbe una minaccia per il Giappone sia perché si tratterebbe dell’aggressione di un alleato, sia per la vicinanza, a meno di 200 chilometri dalle coste dell’isola, dell’arcipelago di Senkaku, uno strategico sistema di isole disabitate amministrate formalmente dal Giappone, ma contese dalla Cina dalla fine della seconda guerra mondiale.
Alle parole di Takaichi aveva subito risposto l’ambasciatore cinese in Giappone, affermando che: «La Cina è disposta a fare ogni sforzo per raggiungere la riunificazione pacifica di entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan, ma non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza, né lasceremo spazio ad alcuna forma di attività separatista per l’indipendenza di Taiwan». Dal ministero degli Esteri e dall’esercito cinese sono arrivate reazioni ancora più dure, in quella che viene ormai definita la strategia diplomatica del «guerriero lupo»: rispondere con forza spropositata sui social alle dichiarazioni ostili alla Cina provenienti dall’estero. «Se i Giapponesi non si ricorderanno della lezione date dalla storia, cercando di intervenire militarmente nello stretto di Taiwan, pagheranno un prezzo insostenibile», sono le parole pubblicate sull’account X dell’esercito cinese, in riferimento alla vittoria cinese nella Seconda guerra mondiale, di cui si sono celebrati gli ottant’anni pochi mesi fa.
PLA Daily: Japan Will Only Suffer A Crushing Defeat If It Dares To Militarily Intervene In Cross-Straits Situation
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Shortly after assuming office, Japanese Prime Minister Sanae Takaichi has spoken recklessly and issued blatant provocations, becoming the first… pic.twitter.com/ErfjnoYxeV— China Military Bugle (@ChinaMilBugle) November 16, 2025
Le conseguenze pratiche – Ma oltre al duello diplomatico, le due potenze hanno anche iniziato a mostrare i muscoli: nel fine settimana la guardia costiera cinese ha inviato quattro navi nelle acque territoriali delle isole Senkaku, definite nelle comunicazioni di Pechino con il nome cinese di isole Diaoyu, causando la reazione di Tokyo, che ha fatto seguire le navi cinesi dalla propria guardia costiera per impedire un eccessivo avvicinamento all’arcipelago. In seguito all’avvistamento di un drone cinese a sud dell’isola di Taiwan, il Giappone ha inoltre deciso di allertare la difesa aerea, con i caccia che sono già decollati sabato 15 novembre. Nella notte tra il 16 e il 17 novembre inoltre il ministero della difesa di Taipei ha annunciato il passaggio al largo delle coste taiwanesi di una ventina tra velivoli e navi cinesi.
8 sorties of PLA aircraft, 8 PLAN vessels and 2 official ships operating around Taiwan were detected up until 6 a.m. (UTC+8) today. 2 out of 8 sorties crossed the median line and entered Taiwan’s southwestern and southeastern ADIZ. We have monitored the situation and responded. pic.twitter.com/HaCyQvSoc8
— ??? Ministry of National Defense, ROC(Taiwan) ?? (@MoNDefense) November 17, 2025
La schermaglia diplomatica tra i due Paesi si è trasferita anche sul piano economico e culturale: il governo di Pechino ha infatti sconsigliato ai propri cittadini di effettuare viaggi turistici nel paese rivale, scoraggiando anche gli studenti dallo spostarsi in Giappone per motivi di studio, sostenendo che ci siano «rischi significativi per la sicurezza personale e la vita dei cittadini cinesi».




