Alla vigilia dell’intesa, era stata promessa una roadmap sull’uscita dai combustibili fossili. Il risultato? Nell’accordo approvato all’unanimità a conclusione della conferenza sul clima Cop30 di Belem, in Brasile, non c’è alcun riferimento esplicito alle fonti non rinnovabili come petrolio e carbone. Nessuna traccia inoltre di un piano concreto per eliminare le pratiche di deforestazione, nonostante la conferenza si sia tenuta in una zona simbolo dell’impatto distruttivo dell’uomo sul verde, l’Amazzonia. Nell’intesa finale, raggiunta dai circa 200 paesi presenti al summit, dopo due settimane di trattative, emergono piccoli passi avanti invece sul fronte delle politiche di “adattamento” al cambiamento climatico.

Nessuna roadmap La Global mutirao – così è stato ribattezzato l’accordo – non ha accolto la proposta lanciata dal presidente brasiliano Inacio Lula di inserire una tabella di marcia per la graduale eliminazione delle fonti fossili e il superamento della deforestazione. Una proposta sostenuta da oltre 80 paesi, tra cui FranciaRegno Unito e Germania, ma non dall’Italia, che non ha firmato la richiesta esplicita in questa direzione, come riportato da Repubblica. La roadmap «sulla transizione dai combustibili fossili non è parte del documento della Cop30 perché metà dei paesi sinceramente non condivideva questa posizione», ha spiegato il ministro dell’Ambiente del governo italiano Gilberto Pichetto Fratin. Tra i principali oppositori dell’appello di Lula, i cosiddetti “petro-stati”, i paesi produttori di petrolio come l’Arabia Saudita.

Soglia del grado e mezzo – Nel testo finale, a cui si è arrivati senza la presenza di delegazioni degli Stati Uniti alla conferenza, si conferma invece l’impegno a limitare l’aumento della temperatura globale entro 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali, come stabilito dall’Accordo di Parigi del 2016. Parliamo però di un obiettivo sul lungo periodo difficilmente raggiungibile con i ritmi attuali d’inquinamento e senza nuovi massicci investimenti sulla transizione ecologica, come dimostrano due studi pubblicati a inizio 2025 su Nature Climate Change. Il 2024 è stato infatti il primo anno in cui si sono registrate temperature medie nel mondo costantemente superiori al parametro prefissato a Parigi.

Misure per l’adattamento – In un accordo definito “al ribasso” da più analisti, rappresenta un tiepido progresso l’impegno a triplicare entro il 2035 i fondi stabiliti alla Cop29 per l’adattamento degli stati più colpiti dalle conseguenze dell’emergenza climatica. I paesi in via di sviluppo chiedevano però di anticipare al 2030 la scadenza per attuare il piano da 300 miliardi formulato a Baku lo scorso anno.

Lula soddisfatto – Il presidente brasiliano ha accolto con favore l’accordo finale, affermando che «la scienza ha prevalso, il multilateralismo ha vinto». «Nell’anno in cui il pianeta ha superato per la prima volta, e forse in modo permanente, il limite di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali – ha proseguito Lula – la comunità internazionale si è trovata di fronte a una scelta: continuare o rinunciare. Abbiamo scelto la prima opzione».

La posizione di Meloni – La premier italiana, intervenendo al G20 in Sudafrica sul tema delle politiche contro il cambiamento climatico, ha detto: «A mio avviso, dobbiamo abbandonare una volta per tutte un dogmatismo ideologico che sta provocando più danni che benefici. In Europa, ad esempio, sono state fatte scelte in passato che hanno messo in ginocchio interi settori produttivi, e senza che questo producesse un beneficio reale sulle emissioni globali. In Africa, approcci dogmatici che non tengono conto delle specificità delle nazioni africane, imposti da partner stranieri, rischiano per paradosso di rafforzare vecchie dinamiche di dipendenza». «È una strategia perdente – ha continuato Giorgia Meloni – e quindi serve trovare un punto di equilibrio pragmatico tra la necessità di limitare le emissioni e il rischio tanto di compromettere i sistemi produttivi più avanzati, quanto di impedire a quelli più deboli di affermarsi».

Le critiche – Deluso dall’esito della Cop30 Gianni Silvestrini, direttore scientifico dell’associazione pro-ambiente Kyoto Club: «La conferenza sul clima Cop30, malgrado gli auspici del padrone di casa Lula, è risultata poco incisiva. Non si sono infatti menzionati nel documento finale i combustibili fossili, principali responsabili del riscaldamento del pianeta, grazie al muro dei paesi produttori di gas, petrolio e carbone». «Ha destato inoltre perplessità il basso profilo tenuto dalla Cina che, in assenza degli Usa, avrebbe potuto svolgere un ruolo trainante, vista la sua leadership sul fronte delle rinnovabili e della mobilità elettrica. I tempi non erano evidentemente ancora maturi, ma non c’è dubbio che fra alcuni anni vedremo Pechino guidare l’ecodiplomazia internazionale», ha concluso Silvestrini.