«Io farei la chiamata e semplicemente ribadirei le congratulazioni al presidente [Trump] per questo risultato. Direi che lo hai sostenuto, che rispetti il fatto che sia un uomo di pace e che sei davvero contento di aver visto accadere tutto ciò». Per negoziare con il presidente statunitense Donald Trump bisogna saper toccare le giuste corde. Steve Witkoff, inviato speciale per le missioni di pace, lo sa: queste parole sono i suggerimenti che diede a Yuri Ushakov, consigliere per gli affari esteri del presidente russo Vladimir Putin. Ora infiamma il dibattito all’interno dei Repubblicani sul modo in cui opera la diplomazia trumpiana, mentre resta il dubbio su chi abbia fatto la soffiata sulle conversazioni dell’inviato di Trump, divulgate da Bloomberg.

Steve Witkoff e Marco Rubio al vertice di Ginevra del 23 novembre

L’arte della negoziazione – Witkoff aveva contattato Ushakov poche ore prima dell’incontro tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky il 17 ottobre. In quell’occasione sembrava possibile che Trump avrebbe concesso all’Ucraina i missili Tomahawk, una risorsa militare cruciale per potenziare le difese del paese invaso dalla Russia. L’inviato americano aveva suggerito a Ushakov di organizzare una chiamata tra Putin e Trump prima dell’arrivo di Zelensky, cosa che avvenne effettivamente il 16 ottobre: i due presidenti parlarono per oltre due ore e il giorno seguente Zelensky tornò a casa deluso e a mani vuote.
Negli scorsi giorni Witkoff era già stato criticato per il suo ruolo nel piano in 28 punti presentato dagli Stati Uniti per la pace in Ucraina. La proposta era nata da un colloquio con il russo Kirill Dimitriev, ma conteneva frasi talmente inusuali in inglese da aver fatto pensare a una traduzione testuale delle richieste russe. L’ipotesi è stata ulteriormente confermata da un’altra telefonata pubblicata da Bloomberg, questa volta tra Ushakov e Dimitriev. Qualche giorno dopo un incontro tra Dimitriev e Witkoff, Ushakov si mostrò scettico sulla possibilità di scrivere un piano che contenesse tutte le richieste russe e fosse accettabile per gli Stati Uniti. Dimitriev però lo rassicurò: «Scriveremo questo documento partendo dalla nostra posizione. Lascerò che facciano come vogliono, non credo che prenderanno esattamente la nostra versione, ma almeno sarà il più vicino possibile», aggiungendo: «Tu parlane con Steve [Witkoff]».
Donald Trump ha difeso il proprio inviato, amico ed ex immobiliarista come lui, paragonando, come è solito, la diplomazia internazionale a un accordo commerciale: «Ha usato frasi standard, quello che va fatto quando si cerca di negoziare un accordo. Suppongo che abbia usato un linguaggio simile anche quando ha parlato con gli ucraini».

La polemica –  Il presidente statunitense ha annunciato che Witkoff sarà a Mosca a inizio dicembre per incontrare Putin. Nel frattempo però è iniziato uno scontro all’interno del partito repubblicano sull’opportunità di utilizzare un inviato speciale e non  il segretario di Stato Marco Rubio, considerato più vicino alla causa ucraina, che è stato impegnato il 23 novembre nel vertice di Ginevra. «È chiaro che Steve Witkoff favorisce i russi. Non possiamo fidarci, un agente pagato dai russi non avrebbe potuto fare di meglio», è la posizione pubblica più forte, arrivata però non da un big, ma da Don Bacon, deputato repubblicano del Nebraska. Per ora Witkoff sembra non rischiare di perdere il posto. Anche gli ucraini, attraverso l’uomo di fiducia di Zelensky Mikhail Podolyak, hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco: «La telefonata Witkoff-Ushakov non avrà conseguenze sulle trattative, fa parte dei negoziati, non ci vedo nulla di filorusso». Il Cremlino ha invece fatto trasparire fastidio per la fuga di notizie, che Ushakov in prima persona ha definito «inaccettabile».
L’amministrazione statunitense vuole fare luce su chi sia stato a fornire alla stampa le intercettazioni. Tra le ricostruzioni possibili, quella più probabile, suffragata anche da Reuters che ha citato una fonte interna alla comunità dell’intelligence americana, vede una spaccatura interna al deep state statunitense. Avrebbe infatti dato fastidio a funzionari dei servizi e del ministero degli esteri il ruolo di Witkoff, un businessman dai modi poco istituzionali e trasparenti, nei rapporti con le controparti russe. C’è inoltre all’orizzonte una battaglia all’interno del partito repubblicano per la successione a Trump nel 2028: da una parte il vicepresidente Vance, portavoce della linea Maga e filorussa, e dall’altra quella di Rubio, il più istituzionale e filo-ucraino, che è rimasto peraltro spiazzato dalle libertà che Witkoff si è preso nel condurre le trattative con la Russia.