«Non chiamiamola carriera, ma percorso di vita». Così il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Lombardia, Riccardo Sorrentino, ha aperto la cerimonia per la celebrazione dei 50 anni di professione per giornaliste e giornalisti. Settantadue medaglie d’oro in tutto per i 45 professionisti e i 27 pubblicisti invitati il 27 novembre all’Istituto dei Ciechi. La Sala Barozzi della storica sede di via Vivaio è stata scelta per ospitare l’evento. «Per cinquant’anni siete stati gli occhi di questa città e ne avete interpretato i sentimenti», ha detto Rodolfo Masto, presidente dell’Istituto, salutando i presenti.

Un momento del discorso di Riccardo Sorrentino, foto di Giovanni Cortesi

«Motivo di orgoglio» – Tra le nuove sfide e le storiche difficoltà del mondo del giornalismo, l’appartenenza all’Ordine resta oggi motivo di orgoglio. È questa la parola più ripetuta nella giornata. Il primo a pronunciarla è stato Sorrentino, che nel suo intervento ha sottolineato come le generazioni più giovani affrontino ostacoli che i professionisti di ieri non conoscevano: precarietà, incertezza e prospettive più fragili. Anche chi ha alle spalle cinquant’anni di mestiere riconosce che, pur avendo vissuto periodi di sfruttamento o scarsa soddisfazione, esistevano comunque possibilità di crescita oggi sempre più minacciate. A questo si aggiunge una rappresentazione pubblica distorta, alimentata da film e fiction, dove spesso il giornalista è dipinto come una figura ambigua vicina al potere. «Per tutto questo – ha detto Sorrentino – occasioni come quella di oggi sono motivo di orgoglio». A La Sestina ha aggiunto che: «Con una scusa un po’ esteriore come il festeggiamento dei 50 anni di professione, permettiamo di accendere i riflettori su alcune storie che, immeritatament,e a volte rischiano di restare nell’ombra».

La premiazione – Storie come quelle, tra le altre, di Antonio Calabrò, Alberto Cerruti, Ferruccio De Bortoli, Maria Luisa (Marisa) Fumagalli, Leonardo Sisti, tutti premiati durante la giornata. «Vorrei avere vent’anni di meno – ha commentato Fumagalli, cronista e giornalista d’inchiesta di lunga data, ritirando la medaglia – ma sono contenta di aver fatto la mia carriera in altri tempi».
Per alcuni, la professione e la vita si sono influenzate a vicenda e lasciare andare il lavoro è difficile se non impossibile: «Come tutti i colleghi sanno – ha detto Nicoletta Manuzzato, esperta di America Latina – anche andando in pensione non smettiamo mai di fare questo mestiere». Dopo la premiazione delle giornaliste e dei giornalisti professionisti, si è passati a quella dei pubblicisti. Nel consegnare la medaglia ad Adriano Todaro, direttore di Carte Bollate, il mensile dei detenuti del carcere milanese, Sorrentino ha sottolineato l’importanza della resistenza dei periodici carcerari e la conseguente attenzione che l’Odg Lombardia vi ripone. «Abbiamo notato che la tendenza nelle altre regioni è di chiudere questi giornali o di limitare la collaborazione dei detenuti», ha commentato.

Il giornalismo come militanza – «Per me cinquant’anni di giornalismo sono cinquant’anni di militanza – racconta Sisti, giornalista dell’Espresso, a La Sestina -. Non mi riferisco ovviamente alla militanza in un partito, ma all’impegno costante e ostinato nel dire “basta” ad alcune cose, come all’opportunismo della politica, per citarne una. Il vero giornalismo è una missione, secondo me. Dobbiamo sempre alzare la testa e dire “ci siamo anche noi e vi teniamo d’occhio”».