no-vivisezioneVentotto paesi dell’Unione europea, oltre un milione e 100mila firme raccolte online, da sommare a quelle cartacee che fino al 31 dicembre arriveranno al comitato centrale di Bruxelles. Ecco i numeri di Stop Vivisection, l’iniziativa popolare europea promossa da studiosi, associazioni di animalisti e parlamentari europei che dal primo aprile 2013 ha chiesto ai cittadini di far sentire la propria voce contro la vivisezione e l’utilizzo degli animali per la sperimentazione scientifica.

La petizione è uno dei primi successi della consultazione diretta dei cittadini prevista dal trattato di Lisbona e aveva l’obiettivo di raggiungere entro il 1° novembre un milione di firme. A partire da questo traguardo infatti la Commissione europea è obbligata ad analizzare le richieste dei cittadini, entro tre mesi. L’obiettivo è quello di abrogare la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici e presentare una nuova proposta che vieti l’uso delle cavie, sostituendole con test in vitro o modelli che simulano la fisiologia di un intero organo o organismo umano, ottenuti attraverso la ricerca biomedica. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea afferma infatti, all’articolo 13, che “l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze e del benessere degli animali in quanto esseri senzienti”, mentre la direttiva 2010/63/Ue ammette la vivisezione.

In Italia sono quansi 900 mila gli animali usati in laboratorio, 12 milioni nell’Unione Europea. Su di loro si testano farmaci, prodotti chimici, ma anche detersivi e cosmetici. Sono soprattutto cani, cavalli, topi, mucche, maiali, pecore, piccioni, furetti, pesci, uccelli, provenienti da allevamenti o catturati in natura, come il 56% dei primati (Dati Lav 2012). Un numero che cozza con quello, sempre crescente, degli italiani contrari alla sperimentazione animale: nel 2013 erano l’87.3%, (86,3% nel 2012-fonte Eurispes) Un disagio raccontato anche dalle oltre 570mila firme raccolte per Stop Vivisection: l’Italia è lo Stato che ha contribuito di più.

Il 2013 era già stato segnato, in tutta Europa, dalla definitiva messa al bando della sperimentazione animale nel settore della cosmetica, e nel nostro Paese, dall’approvazione alla Camera della legge sulla sperimentazione animale il 31 luglio scorso. Una normativa che inasprisce la direttiva Ue sul tema: introduce il divieto assoluto di test scientifici su cani, gatti e primati e di trapianti fra specie diverse (xenotrapianti). Inoltre proibisce sul suolo italiano l’allevamento di animali destinati agli esperimenti, vieta i test per droghe, alcol, tabacco, armi, obbliga ad anestetizzare le cavie nel caso in cui gli esperimenti dovessero risultare particolarmente dolorosi, Infine si incentiva la ricerca di nuovi metodi alternativi alla sperimentazione animale, attraverso l’utilizzo di materiale biologico di vario genere, prevalentemente di origine umana, o non biologico, come le tecniche che sfruttano sussidi meccanici o analisi teoriche.

Un testo che ha allarmato la comunità scientifica, convinta che sia stata messa seriamente a rischio la possibilità di eseguire test pre clinici sugli animali e la ricerca per la cura dell’Hiv, del cancro, delle malattie genetiche. “Se la legge venisse approvata, l’Italia resterebbe fuori dal mondo della ricerca perché non sarebbe più competitiva”, dice Ilaria Capua, vicepresidente della commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei deputati. Alle critiche di Capua si sono aggiunte quelle di Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, e di migliaia di studiosi dell’Airc, di Telethon, dell’Accademia dei Lincei e del Gruppo 2003, che raccoglie i ricercatori italiani con all’attivo il maggior numero di citazioni sulle riviste scientifiche. Secondo gli scenziati i problemi maggiori si riscontrerebbero con la medicina personalizzata e rigenerativa, che utilizza cellule staminali da iniettare in cavie animali. Il divieto agli xenotrapianti, ad esempio, porterebbe al blocco di ricerche in campo oncologico: iniettando cellule tumorali nella cavia si può seguirne lo sviluppo, testarvi nuovi farmaci o migliorare i protocolli attuali, fino ad arrivare in futuro alle terapie personalizzate.

Soddifatta la Lav (Lega anti vivisezione), per la quale però la legge è solo un punto di partenza per altri cambiamenti: “La legislazione italiana non prevede ancora l’abolizione dell’uso degli animali- afferma il presidente Lav Gianluca Felicetti- La sperimentazione animale è, infatti, un clamoroso errore metodologico: nessuna specie vivente può essere considerata un modello umano semplificato a causa delle enormi differenze genetiche, anatomiche, biologiche, metaboliche, psichiche ed etologiche che le contraddistinguono. E così ciò che risulta innocuo negli animali può essere tossico per l’uomo”.

Ma il dibattito sulla necessità o meno della vivisezione è ancora in atto: “È chiaro che non possiamo ancora rinunciare al contributo degli animali», afferma Pier Paolo Battaglini, professore di Fisiologia e capo del settore Stabulario e sperimentazione animale all’Università di Trieste. “Deve essere garantito il loro benessere e la comunità scientifica deve impegnarsi a limitarne l’uso, ma sono ancora propedeutici alla sperimentazione sull’uomo nel senso che riducono il rischio che si possa fare del male all’essere umano». Più critico il professor Garattini: “Si sente spesso parlare di metodi “alternativi” all’uso degli animali. Ma in base a quale logica ed a quali studi poche cellule coltivate in provetta sarebbero un modello migliore? In realtà studi su cellule e studi su animali devono essere considerati complementari perché, insieme, possono dare informazioni più attendibili”, conclude.
L’argomentazione più forte contro la vivisezione sembra però arrivare proprio dalla statistica: su 100 sostanze sicure negli animali, almeno 80 sono scartate dopo la sperimentazione umana e 10 ritirate dal commercio per gravi reazioni avverse. (Dati Lav 2012)

Secondo il professor Gianni Tamino, presidente del Comitato scientifico Equivita, e membro del comitato promotore di “Stop Vivisection” è l’idea di fondo a essere sbagliata: “La vivisezione trae origine da una visione meccanicista della natura, che assimila uomini e animali a macchine, di cui si pensa di poter conoscere il funzionamento attraverso una relazione meccanica tra le parti. L’animale -macchina diventa quindi modello per l’uomo-macchina, ma ogni biologo sa che animali diversi possono presentare alcune caratteristiche anatomiche e fisiologiche simili o uguali, ma molte altre in parte o del tutto diverse. Ogni risultato sperimentale ottenuto su un animale ci fornisce dei dati utili per quella specie, ma non sappiamo se ciò che si è ottenuto sulla cavia si verificherà anche nell’uomo.”

E un incentivo a a sviluppare metodi alternativi è arrivato nel novembre scorso dal nuovo programma per la ricerca Horizon 2020 approvato dal Parlamento europeo, che prevede oltre 70 miliardi di finanziamenti per soggetti pubblici o privati che fanno ricerca in modo innovativo. Innovazione che incentiva anche i laboratori di ricerca scientifica a spostare il focus dei test da “animal relevant” a “human relevant“, ovvero a sostituire le cavie con test in vitro, con riproduzioni robotiche e di microingegneria. Tentativi che negli Usa sono state avviate da tempo, come testimonia il “National Institute of Health’s automated robot-technicians”, il laboratorio robotico più avanzato al mondo del valore di 50 milioni di euro e di proprietà del governo Usa, usato per testare sostanze chimiche.

Alexis Paparo