Il corteo dei familiari delle vittime dell'amianto, guidato dal sindaco Palazzetti, ha attraversato il centro storico di Casale per protestare contro l'assoluzione del dirigente Eternit Schimdheiny

Il corteo spontaneo per le vie di Casale Monferrato, contro l’assoluzione in Cassazione del dirigente Eternit Stefan Schimdheiny

Dopo la sentenza Eternit, a Casale è lutto cittadino. L’ha voluto il sindaco Titti Palazzetti, che ha guidato un corteo spontaneo di protesta il 20 novembre. Un giorno dopo il verdetto della Cassazione, che chiude con la prescrizione e quindi senza condanne il lungo processo per i tanti morti da amianto. Serrande abbassate e uffici chiusi in tutta la città dell’alessandrino, sede per 79 anni del principale stabilimento italiano del gruppo che ha avvelenato. La gente scende in strada per contestare la decisione della Suprema Corte di assolvere per decorrenza dei termini l’unico imputato, Stefan Schimdheiny, amministratore delegato. In appello, era stato condannato a 18 anni per disastro ambientale doloso e omissione delle norme di sicurezza negli stabilimenti Eternit.

La rabbia espressa già a Roma, nei corridoi del Palazzaccio, sfila il giorno dopo per le strade del centro storico di Casale. «Quante volte ci dovete ancora uccidere?», chiedono i familiari delle vittime. Una domanda ripetuta centinaia di volte sui cartelli mostrati durante il corteo, tanti ma sempre meno del numero dei morti per mesotelioma. In totale, dagli anni Cinquanta a oggi, Eternit è accusata di avere provocato la morte di oltre 3.000 persone, di cui 1.700 nella sola Casale Monferrato.

In realtà, la vicenda giudiziaria della strage dell’amianto non è ancora del tutto finita, nonostante il verdetto della Cassazione. Ancora tre inchieste sono aperte dalla Procura di Torino: una sulla morte di 213 persone, una seconda sul decesso di altri lavoratori impiegati in altri stabilimenti, la terza sulla cava d’amianto di Balangero. Per tutti, l’unico indagato ancora una volta è Schmidheiny. E Casale, dunque, può ancora sperare di avere giustizia per i suoi morti.

Roberto Bordi