(ALS) – MILANO, 31 GEN – La bufera sul caso Almasri, per cui risultano indagati la presidente del Consiglio, due ministri e il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, è cominciata mesi or sono. L’origine della vicenda risale al 2 ottobre quando la Corte Penale Internazionale (CPI) ha prodotto la richiesta di arresto del generale libico, considerato responsabile di crimini contro l’umanità per come ha gestito la detenzione nel carcere di Mitiga, in Libia. Il faldone è stato esaminato dal collegio della CPI composto da tre magistrati (uno dei componenti il collegio si è espresso contro).
Nel frattempo il 6 gennaio l’ex capo della polizia libica Osama Almasri Njeem è partito da Tripoli per Londra, con scalo a Roma. E ha cominciato un viaggio tra Francia, Germania e Belgio. Un lungo itinerario reso possibile probabilmente grazie ai numerosi passaporti in suo possesso: poteva essere di volta in volta un residente turco o della Repubblica domenicana. Aveva una patente tedesca e conti bancari sparsi in Europa.
Il 16 gennaio Almasri è stato fermato a Monaco di Baviera per un controllo di routine. Il giorno dopo l’Interpol ha inviato una segnalazione a sei Stati, tra cui l’Italia. Roma viene informata che è prenotata una stanza di albergo a Torino a suo nome. La commissione dei pm della Corte internazionale il 18 gennaio ha emesso l’ordine di arresto nei confronti del libico, che nel capoluogo piemontese ha fatto in tempo ad andare allo stadio per guardare Juventus-Milan. Sempre il 18 gennaio Almasri è stato fermato proprio in Piemonte, ma non risultava ancora un alert attivo (che fa scattare l’arresto) su di lui e non è stato fermato.
Il prelievo all’hotel da parte della Digos è avvenuto qualche ora dopo, all’alba di domenica 19 gennaio. La procedura di esecuzione della misura cautelare è stata irrituale. L’iniziativa è stata della polizia giudiziaria. Non è stato considerato che, nel caso di mandato di arresto internazionale, l’input deve partire dal ministro della Giustizia, che comunque è stato informato il 19 gennaio.
Mentre Almasri si trovava al carcere delle Vallette di Torino, il 20 gennaio la procura generale della Corte d’Appello di Roma si è rivolta a Nordio per la convalida della misura. Corte d’Appello che più volte ha tentato, invano, di ottenere un riscontro dal ministro. Nordio avrebbe potuto emettere una richiesta di arresto
Il caso dell’arresto è diventato di dominio pubblico il 20 gennaio, grazie allo scoop del giornalista di Avvenire Nello Scavo, che ne ha dato notizia sul suo profilo X. Il 21 gennaio, alle ore 16, il Ministero della Giustizia in un comunicato stampa ha scritto: «Considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma». Ma a quell’ora il Falcon 900 usato dai servizi segreti esteri dell’Italia era già atterrato all’aeroporto di Torino, dove era arrivato alle 12.30. La Corte di appello aveva depositato l’ordinanza di scarcerazione del comandante libico e il ministero dell’interno si è occupato del suo espatrio per motivi di “sicurezza nazionale”. Almasri è stato trasferito all’aeroporto di Torino Caselle, da dove il Falcon è decollato alle 19.51. Sbarcato a Tripoli, Almasri è stato accolto da una folla festante.
Il 24 l’avvocato Luigi Li Gotti fa un esposto alla procura di Roma contro Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano. Il 28 gennaio il procuratore generale Francesco Lo Voi li informa che sono stati iscritti nel registro delle notizie di reato quali indagati per peculato e favoreggiamento. A renderlo noto è stata la stessa Meloni con un video sui social pubblicato proprio il 28 pomeriggio. (ALS)
POL/MP