Da Torino, ora, più che automobili, si esporta il buongusto. Se la fu capitale italiana della grande industria sta guadagnando spazio e fama all’estero, è grazie a due imprese innovative nel settore agroalimentare, Eataly e Grom. Ad accomunarle è il binomio vincente di consorzio e qualità. Forse la formula giusta per rilanciare l’impresa nostrana e aprirla al mercato estero.

È il 27 gennaio 2007 quando Oscar Farinetti inaugura la sede torinese di Eataly, un supermercato, unico al mondo, dedicato interamente a cibi di qualità. In testa ha un modello di mercato originale, che coniuga vendita, ristorazione e cultura: un luogo in cui prodotti di alta qualità della tradizione agroalimentare italiana non solo si comprano, ma si consumano e si studiano. Una filosofia che Farinetti riassume in una frase: «vendiamo quello che cuciniamo e cuciniamo quello che vendiamo». Oggi, a distanza di sei anni, la storia di Eataly la si racconta con i grandi numeri: 21 punti vendita tra Italia, Giappone e Stati Uniti e un fatturato, nel 2012, di circa 300 milioni di euro. Di gelaterie Grom, solo sul territorio italiano, ce ne sono invece ben 52. Altre otto tra Malibu, New York, Osaka, Parigi e Tokyo. Un progetto che porta la firma di due giovani imprenditori, Guido Martinetti e Federico Grom, enologo il primo, analista finanziario il secondo. Divenuto famoso per le sue lunghe code, Grom apre il primo negozio a maggio 2003, nel capoluogo piemontese. Alla base, pochi, rigorosi principi: solo frutta di stagione, latte fresco, uova biologiche, nessun colorante e nessun additivo. Nel 2012, il fatturato della catena è stato di circa 30 milioni di euro.

Anche nel Mezzogiorno, però, ci sono delle storie di successo nel settore agroalimentare. Non lontano dal porto di Gioia Tauro, in Calabria, si trova la Fattoria della Piana, un caseificio diventato un modello anche a livello internazionale. L’azienda di Candidoni, sperduto paesino di 389 abitanti, spedisce i suoi prodotti freschi, bufale e ricotte in primis, fino in Giappone e Nord America. I suoi formaggi hanno raggiunto addirittura la tavola della Casa Bianca. Una filiera moderna e una rete globale di commercializzazione sono stati la chiave di successo che ha permesso al giovane manager Carmelo Basile di trasformare una vecchia struttura agricola degli anni ’30 in un’impresa economica di fama internazionale. Il punto di forza dell’azienda sta nel fatto che riunisce, in forma cooperativa, un terzo degli allevatori calabresi.

I prodotti della Fattoria della Piana non sono gli unici a essere venduti lontano dall’Italia. In un 2012 a tinte fosche per l’economia del Paese, l’unica luce a brillare è stata quella di olio, latticini e vino. Nonostante le esportazioni siano diminuite di mezzo punto percentuale, secondo quanto rilevato dall’Istat, l’agroalimentare ha chiuso l’anno con il botto: un fatturato record di 31 miliardi di euro e un aumento nell’export del 6,7 per cento. Il prodotto più esportato è il vino. Per l’enologia è stato un 2012 tutto in positivo: più export (6 per cento) e più guadagni (4,7 miliardi). Le bottiglie di Barolo e Montalcino finiscono principalmente negli Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera. Ma per i vigneti italiani si stanno aprendo anche i mercati sconfinati dell’estremo Oriente: in Cina il vino nostrano ha aumentato le vendite del 17 per cento.

A certificare la provenienza di una bottiglia di Morellino di Scansano sono quattro lettere: DOCG. Una sigla rassicurante per il consumatore, ma anche per il produttore: avere un marchio DOP o IGP vuol dire valore aggiunto e maggior successo sul mercato estero. Il marchio di qualità, però, è sempre più esposto al tiro dei falsari. E se è vero che il successo di un prodotto si può misurare con i tentativi di imitazione (come recita lo slogan della Settimana Enigmistica), allora le mozzarelle campane e i pachino siciliani possono stare tranquilli. Di falsi, nel settore agroalimentare del made in Italy, ce ne sono in abbondanza. Due su tre, stando ai dati della Guardia di Finanza, che nel 2012 ha scoperto una contraffazione di prodotti DOP e IGP per il valore di 60 miliardi di euro. Il più imitato è l’olio d’oliva, di cui soltanto le Fiamme Gialle hanno sequestrato l’anno scorso più di 8 milioni di litri. Al secondo posto, nelle preferenze dei falsi buongustai, ci sono i formaggi (Parmigiano Reggiano, mozzarella e Grana Padano) e infine la pasta. Per confondere il consumatore s’inventano nomi come Parmesan, Regianito, Parma Ham, Daniele Prosciutto & Company. Oppure si aggiunge, sull’etichetta, l’aggettivo “tradizionale”.

La contraffazione alimentare sottrae all’Italia 5 miliardi di valore aggiunto all’anno. Perché la bontà del cibo del Bel Paese non è solo uno stereotipo, ma una forza economica da non sottovalutare: lo dimostrano, si è visto, successi come Eataly e Grom. Esperimenti figli di un decennio che ha celebrato il declino della grande impresa, sul modello della Fiat (un declino, in realtà, cominciato già negli anni ‘90). La quota di mercato del gruppo automobilistico torinese si è ridotta di circa 20 punti in poco più di 20 anni: dal 50,3 per cento del 1990 all’odierno 28 per cento. Se si esclude il caso di Omnitel – unica start up, venduta poi agli inglesi, ad aver davvero creato volume – non sono nate in Italia, dagli anni ’90 a oggi, nuove grandi aziende.

Negli anni 2000 la grande industria ha ceduto il passo alle cosiddette “multinazionali tascabili”: imprese territoriali, di piccole e medie dimensioni, sbarcate, però, anche sul mercato internazionale. Un fenomeno che prende il nome di quarto capitalismo e che riguarda quelle aziende che hanno scelto di consorziarsi per internazionalizzarsi e avere maggiore capacità di investire in ricerca. Eppure, le aziende italiane fanno fatica a fare squadra: secondo l’ultimo bilancio di Unioncamere a fine 2012 sono 647 i contratti di rete attivati in Italia per un totale di 3.360 soggetti coinvolti. Troppo poco per Aldo Bonomi, vicepresidente di Confindustria. Troppo poco, in generale, per quella che potrebbe essere una delle strade per dinamizzare il mercato e le imprese italiane.

Giulia Carrarini
Susanna Combusti
Anna Lesnevskaya