Troppo specializzati o troppo sindacalizzati. Al Nord come al Sud, gli operai italiani sempre più spesso vengono sostituiti da manodopera straniera, più flessibile e meno costosa. In casi sempre più frequenti, la strada è importare lavoratori comunitari provenienti da Romania e Bulgaria. Attraverso agenzie di lavoro interinale specializzate, con la sede nell’Est ma di proprietà italiana. Mentre, in Italia, 400 mila giovani iscritti a istituti tecnici e professionali rimangono senza prospettive di lavoro.
L’ultimo caso è l’Alenia-Aermacchi. L’azienda, una controllata di Finmeccanica, produce velivoli da guerra, dagli elicotteri ai caccia d’addestramento. L’ultimo ritrovato è l’M346 “Master”, un jet pensato per l’addestramento dei piloti, al quale Singapore, Israele e la stessa aviazione italiana sono interessati. Le commesse giunte allo stabilimento di Varese coprono un arco temporale che arriva fino al 2015, tanto che la controllata di Finmeccanica decide di assumere 200 operai specializzati provenienti dalla Romania. Per i prossimi due anni, installeranno componenti elettronici sui jet. Il loro stipendio è 1200€ al mese. Pochi, se pensiamo ai 1600 di un pari livello italiano. Tanti, se consideriamo che gli operai italiani sono rimasti a casa. Eppure, Finmeccanica vanta un programma di formazione e sviluppo tra i migliori in Europa.
Secondo fonti interne all’azienda la scelta è dettata dal picco di produzione, ma la stessa cosa succede in Puglia. Nello stabilimento di Foggia vengono impiegati 37 operai di Bucarest. Lavorano alla catena di montaggio del Boeing 787, il “Dreamliner”. “Una volta”, racconta Luciano Pistoletti della Rsu aziendale di Varese, “Aermacchi assumeva ragazzi e li formava: era un investimento sul futuro, i giovani apprendisti sostituivano i pensionati.” Era un esempio di integrazione tra scuola e azienda. Al contrario, la nuova strategia, continua Pistoletti, “è di corto respiro: si concludono le commesse in atto e poi chissà. E forse è proprio questa la ragione per cui vengono assunti dei lavoratori stranieri: licenziare degli italiani, benché con un contratto interinale, è sempre più difficile”.
Negli ultimi anni sono nate agenzie interinali che vivono proprio su questo. Eurosud Lavoro ne è un esempio: nata nel 2010, dall’inizio dell’anno ha collocato sul mercato italiano circa 200 persone provenienti dalla Romania. Soprattutto elettricisti, carpentieri e operai di fabbrica. L’azienda che li richiede paga una provvigione all’agenzia interinale, la quale si occupa di tutto il resto, dai contributi previdenziali e assicurativi sino al vitto e all’alloggio. Non si tratta di dumping in senso stretto, ovvero di svendita di un bene a un prezzo notevolmente inferiore, ma di sfruttare la liberalizzazione del mercato del lavoro comunitario. I vantaggi non sono nella riduzione dei costi di formazione ma nella minore tassazione. E soprattutto l’azienda ha meno problemi sindacali e più flessibilità in uscita quando la commessa termina. Alle figure professionali italiane non rimane così che emigrare.
In Italia la formazione ha un costo fisso che non è soggetto alle logiche di mercato. Ogni studente pesa in media 6000 euro all’anno sui bilanci dello Stato. Le spese in formazione sono tra le più alte in Europa e, al contempo, quelle in ricerca e sviluppo rimangono tra le più basse. Significa che l’Italia investe molto nella creazione di figure professionali d’alto profilo, ma non crea un percorso che le inserisca nel mondo del lavoro. Uno spreco incredibile di capitale umano (in inglese soft capital), ovvero quell’insieme di conoscenze, competenze e abilità acquisite durante la vita da un individuo. La scuola rimane il principale fattore di crescita del capitale umano, che non rappresenta solo una risorsa economica, ma contribuisce anche all’ascesa sociale del singolo.
In uno studio del 2012 di Cecilia Jona (Luiss Lab working paper n. 102/2012), emerge come solo di recente in Italia si stia davvero considerando l’impatto del soft capital sull’economia reale, pari almeno a quello delle infrastrutture materiali. Eppure siamo lontani dagli obiettivi presentati nel Piano nazionale delle riforme (Pnr) ed esposti a Bruxelles. L’Italia, secondo lo studio di Jona, era molto indietro negli indicatori dell’economia della conoscenza già prima delle due ultime recessioni.
A questo si aggiunge il fatto che, secondo i dati forniti da lavoce.info, il ministero del lavoro non ha istituito alcuna mappatura della forza lavoro professionale disponibile sul territorio. Uno dei principali ostacoli alla valorizzazione delle risorse umane è proprio l’assenza di coordinamento tra le strutture che creano le professionalità e il mondo del lavoro. Di conseguenza, un’azienda può non sapere che a poche decine di chilometri c’è la manodopera di cui avrebbe bisogno. Per assurdo, diventa più veloce reperire operai specializzati in Romania che a Locatelli, provincia di Bergamo. L’elevato costo del lavoro in Italia fa il resto.
Ad aggravare la situazione c’è anche l’invecchiamento delle conoscenze acquisite. Si stima che, quando un tecnico non trova lavoro entro due anni dal diploma, è destinato a perdere competitività. Perché le sue capacità, davanti alla sempre più rapida evoluzione tecnologica, diventano presto inattuali. Con il risultato che, quando la crisi economica sarà finita, il Paese non riuscirà comunque a collocare i disoccupati.
Carlo Marsilli
Vincenzo Scagliarini
Andrea Zitelli