«L’Italia è già fuori dall’euro». Beppe Grillo, ultimo portabandiera dell’euroscetticismo nel panorama politico italiano, è convinto che il volto di Dante, che circola sulla moneta comune da poco più di un decennio, avrà vita breve. Con la crisi finanziaria l’euro è finito sul banco degli imputati perché, sostengono i suoi detrattori, essere nell’Eurozona implica condizioni durissime per la sostenibilità della spesa e del debito pubblico. Il leader del Movimento 5 Stelle è certo che i governi dei paesi nordeuropei manterranno Roma dentro l’Eurozona «fino a che non riavranno gli investimenti effettuati dalle loro banche sui titoli di stato italiani. Dopo di che ci lasceranno cadere come una patata bollente».
Di fronte a questa previsione tutt’altro che ottimistica, Grillo propone come soluzione un referendum popolare sull’euro, per discutere senza tabù di un’eventuale uscita dell’Italia dalla moneta unica.
Ma l’ipotesi avanzata dal leader dei 5 Stelle non è nuova. A proporre il referendum è stata anche la Lega Nord, con le parole del segretario Roberto Maroni. Tradizionalmente, la Lega è il partito di riferimento per gli euroscettici. A più riprese, Umberto Bossi ha parlato di «fallimento dell’Europa e dell’euro», affermando che l’ingresso nella moneta unica è stato «un errore storico, perché l’Italia è un paese debole per una moneta così forte».
A partire dal 2008, con l’avvento della crisi finanziaria, il sentimento dell’euroscetticismo, tradizionalmente legato agli ambienti politici nazionalisti e conservatori, corre parallelamente sui binari dei partiti più schierati a sinistra. È il caso di Comunisti-Sinistra Popolare guidati da Marco Rizzo, che auspicano l’uscita immediata dall’euro e dall’Unione europea. «Oggi la Bce – spiega Rizzo – è in mano ai privati. Gli stessi che sono nei Cda delle banche dei singoli stati. Impone sacrifici dovuti all’aumento del debito pubblico, che però lei stessa innalza. La soluzione è non pagare questo debito, che è privato e non pubblico».
E i cittadini? Un’indagine Ispo ha dimostrato che gli elettori più entusiasti dell’Unione europea sono quelli di Udc, Sel e Pd, mentre sul fronte opposto ci sono i sostenitori di Pdl e M5S. Due partiti che nell’ultima campagna elettorale hanno premuto sull’acceleratore dell’antieuropeismo e che alle urne hanno fatto il pienone di voti. I risultati delle ultime politiche hanno infatti sorpreso i commentatori per il boom di Grillo e il risultato di Berlusconi, figlio di una insperata rimonta. Il più convinto europeista, il premier uscente Monti, ha invece racimolato il 10,56% delle preferenze: quindici punti in meno rispetto a Grillo.
Gli italiani sono da sempre convinti europeisti, ma la crisi economica ha contribuito a rinfocolare l’euroscetticismo e la sfiducia nei confronti dell’Europa. La questione identitaria rimane un fattore importante e l’allargamento dell’Ue tra il 2004 e il 2007 ha certamente rallentato il processo di costruzione di un’identità comune e di una cittadinanza europea che vada oltre i Trattati. Ma quello che caratterizza il nuovo euroscetticismo, in particolare degli elettori 5 Stelle, è dovuto, più che a una questione identitaria e a un’avversione nei confronti delle istituzioni europee, alla contestazione della moneta unica, percepito come un limite alla crescita economica.
Se i cittadini italiani sono stati, per un lungo periodo, poco interessati all’Europa, che vedevano molto distante e poco utile, e quindi esprimevano un generale tacito consenso nei confronti delle istituzioni comunitarie, l’introduzione della moneta unica ha cambiato la percezione dell’Ue. Come confermano i dati di Eurobarometro, l’interesse verso il sistema comunitario è cresciuto esponenzialmente a partire dal 2006, quando all’Unione europea erano interessati un italiano su tre, per arrivare nel 2012 ad attrarre l’attenzione di un italiano su due.
Negli ultimi 4 anni, però gli italiani hanno perso fiducia anche nei confronti del Parlamento europeo, l’Istituzione che rappresenta i popoli dell’Unione, l’unica a essere eletta direttamente dai cittadini. Il 24% degli italiani nel 2012 ha un’opinione totalmente negativa dell’Assemblea di Bruxelles e Strasburgo, 4 punti in più del 2011. Viceversa cala di due punti in un anno la fiducia totale, accordata dal 39% dei cittadini. E a giudizio del 36% degli italiani il Parlamento europeo sarebbe un’istituzione inefficiente. Da sottolineare che gli italiani si mostrano più europeisti della media dei Paesi dell’Unione. La sfiducia nei confronti dell’Europa cresce, ma è a Bruxelles che si chiedono ricette contro la crisi e nei confronti della moneta unica, che appare ai cittadini non del tutto adeguata a combattere gli effetti della recessione.
Se la distanza tra cittadini italiani e istituzioni europee si è allargata in particolare negli ultimi cinque anni, un progressivo disinteresse risulta anche dall’affluenza alle urne che precede la crisi. Alle elezioni europee del 2009 ha votato appena il 65,14% degli italiani, con un saldo negativo di 6 punti percentuali rispetto al 2004. Ma dagli anni ’90 i dati si attestano intorno al 70% dei votanti, numeri comunque ampiamente inferiori rispetto alle prime tre volte in cui i cittadini italiani furono chiamati a eleggere il Parlamento europeo: l’affluenza alle prime elezioni del 1979 fu dell’85,65%, nel 1984 dell’82,47% e nel 1989 dell’81,07%.
Un percorso tortuoso quello dell’Italia, europea dal 1957. Tra euroentusiasmo ed eurodiffidenza, tra fautori e detrattori della moneta unica, quel che sembra certo è che fatta l’Europa bisogna fare gli europei.
Francesco Paolo Giordano
Enrico Tata
Silvia Ricciardi