«Ma perché hai deciso di giocare proprio a baskin?». La domanda rivolta a Daniele, 24 anni, responsabile e giocatore della squadra di baskin della società Sanga di Milano, viene posta nella maniera più delicata possibile, ma nasconde un interrogativo molto più sbrigativo, meno disincantato: «Tu che potresti normalmente giocare a basket, perché hai scelto il baskin?». Daniele (il nome è di fantasia, come quello di tutti gli altri giocatori citati nell’articolo) sorride, è consapevole che l’approccio della domanda vorrebbe essere più diretto, ma capisce che non si tratta di malizia, quanto di sensibile curiosità: «Perché modifica la mia prospettiva di vedere le cose, mi sento quasi complementare con loro». Vorrebbe trovare frasi più articolate, ma la sua sincerità è disarmante, la si coglie proprio quando inizia a spostare lo sguardo verso di loro, i suoi compagni di squadra, per la maggior parte ragazzi disabili, che iniziano a popolare il campo per l’allenamento.

Chi gioca – Il baskin si fonda sull’obbligatorietà della compresenza di giocatori normodotati e diversamente abili. La complementarità di cui parla Daniele è un asse portante di questo sport. Si gioca in sei persone per squadra. Su un campo da basket, ma con quattro canestri in più, posizionati in coppia in apposite aree laterali ai due estremi della linea di centrocampo, uno sopra l’altro. Sono a due altezze molto inferiori rispetto ai principali, ma il valore dei punti realizzati è lo stesso. Di sicuro è maggiore lo sforzo che richiedono. Nelle aree laterali e nei canestri più bassi possono stare e tirare soltanto i disabili più gravi: ragazzi malati di SLA, autistici, seduti su una carrozzina e con un controllo del proprio corpo insufficiente per trasportarla autonomamente. «Sono i ruoli 1 e 2, i pivot, in campo ce ne deve essere sempre uno per squadra», spiega Daniele, «in mezzo al campo ci sono invece i ruoli 5, i giocatori di basket, i 4, persone che non hanno mai giocato o soffrono di lievi disabilità, e i 3, generalmente disabili con patologie psichiche. Possiedono però le capacità motorie sufficienti per potersi muovere lungo tutto il campo e tirare verso il canestro più alto». Questa rigida categorizzazione della disabilità quasi spaventa, ma è necessaria per l’obiettivo del baskin, uno sport che si propone di valorizzare il contributo che ognuno, nello specifico delle proprie facoltà, può offrire.

Un modello di un campo da baskin

Non solo in campo – Sedendosi per assistere all’allenamento, sorprende il numero dei giocatori presenti. Sono quasi 30, gli iscritti superano i 40, è stato necessario porre un tetto, ha confessato sconsolato Daniele, «perché altrimenti non riusciremmo a offrire il giusto spazio a ognuno». E al Sanga ormai arrivano persone da tutte le parti della città, non solo da via Padova, che di per sé è già molto impegnativa, cuore di un quartiere multietnico dove ha sede la società e che una persona trapiantata da poco a Milano tende ad associare soltanto alla delinquenza. Il Sanga ha capito presto le potenzialità del baskin: «All’inizio, nel 2010, c’erano a malapena una decina di persone», racconta Giulia, una delle due rappresentanti dei genitori. Alle spalle della squadra c’è una struttura altrettanto forte, fatta di madri e padri consapevoli di aver trovato non un semplice posto dove parcheggiare figli difficili da gestire per qualche ora a settimana, ma un punto di partenza fondamentale per creare una comunità che li faccia sentire parte di qualcosa. «Hanno bisogno di essere ascoltati, capiti, di vivere una loro normalità», sottolinea un’altra madre, Rita, «per questo è importante che si confrontino anche con ragazzi normodotati che li spronino, anche solo per allacciarsi una scarpa. Non per senso del dovere, ma perché hanno voglia di aiutarli ad imparare».

Regole e strategie – La stessa dinamica del baskin si basa molto sul supporto. Dopo qualche esercizio di riscaldamento, durante la partita di allenamento le chiavi del gioco diventano più chiare agli osservatori esterni. I cinque giocatori che hanno la libertà e la possibilità di muoversi lungo tutto il campo hanno una doppia scelta: attaccare il canestro principale o portare la palla nell’area laterale, dove il proprio pivot la attende. Quest’ultimo ha poi l’obbligo di effettuare un tiro in uno dei due canestri entro un massimo di 10 secondi. Deve essere prima aiutato dal compagno che gli ha consegnato la palla a posizionarsi nel punto stabilito. Le due strategie di attacco garantiscono lo stesso numero di punti, due o tre, a seconda della posizione di tiro: dentro o fuori l’area per i ruoli dal 3 al 5, frontale al canestro o dall’angolo per i pivot. I giocatori normodotati hanno un limite di tiri da rispettare, tre per tempo, oltre all’obbligo di marcatura verso i pari-ruolo. Non possono infastidire l’azione degli altri giocatori. Un sistema bilanciato, spesso aggiornato per evitare derive che penalizzino i ragazzi disabili. Più serrati sono i regolamenti, più elaborata è la ricerca della fessura attraverso cui poterli aggirare. «Le regole ufficiali sono state riscritte 13 volte, purtroppo molti hanno la tendenza ad accentrare il gioco sui normodotati, ma così si perde il vero spirito del baskin», spiega Alessandra, una delle due allenatrici.

Allenamento al tiro per i pivot

Lo sforzo e l’entusiasmo – Il Sanga non è però intaccato da questo rischio. Il coinvolgimento nel gioco di tutti i componenti della squadra è fluido, la naturalezza con cui si alternano i possessi e si diversificano le azioni trasmettono l’idea che ognuno sia consapevole dell’aiuto che può dare e ricevere dall’altro. Simone è il più piccolo di statura della compagnia, avrà forse 15 anni, gioca nelle giovanili di basket del Sanga, ma quest’anno ha deciso di provare anche il baskin. Non ha la voglia tipica di un adolescente di mettersi in evidenza in un contesto in cui potrebbe primeggiare senza difficoltà, ma è il primo che rinuncia ai personalismi, pronto a offrire a un compagno la possibilità di tirare. Ivano è su una carrozzella, segue l’evolversi del gioco in maniera estasiata, in attesa che gli arrivi la palla. Ha evidenti problemi motori, ha bisogno che Simone lo conduca al centro della sua area per fare il proprio dovere. Quando però gli viene passata la palla, riesce a sollevarsi in alto con il bacino per un momento, prendersi i suoi secondi di concentrazione ed effettuare con la mano mancina il movimento perfetto di tiro, spezzando il polso e dando alla palla quella rotazione così complicata da trovare anche per chi può rapportarsi al basket con meno difficoltà. «Gioca con noi da qualche anno, all’inizio tirava solo verso il canestro più basso, ma sta affinando sempre di più la propria tecnica», dicono Daniele e Alessandra con orgoglio. Partono gli applausi dei genitori in tribuna. Per quanto Ivano sia ormai abituato a segnare, per quanto, come un qualsiasi atleta, migliori con la ripetitività dell’allenamento, non viene mai meno la consapevolezza di come ogni gesto presupponga una fatica enorme e di come ogni canestro sia la fonte di una grande gioia. Uguale ogni volta. 

Le difficoltà di uno, le difficoltà di tutti – La scena si ripete ancora. Ogni volta che Ivano, ma anche Valentina, bambina con sindrome di Down, vengono investiti dalla fiducia dei compagni e si ritrovano a dover tirare, l’entusiasmo del canestro è sempre identico e contagioso. Ivano si gira ogni volta verso le tribune, quasi a volersi beare degli applausi. Alza il pollice, esulta, guarda anche chi non conosce, chi è lì per la prima volta. Quando si incrociano i suoi occhi con un sorriso di rimando, si è attraversati da un po’ di imbarazzo e si tende ad abbassare lo sguardo. Ci si rende conto che è difficile immedesimarsi nella sua felicità. Si avvertono residui di senso di colpa per un filo di pietà provato. Ma basta poco per accorgersi di come al Sanga ci si concentri sul talento, non sulla mancanza. «Il baskin è un gioco molto strategico, perché devi difendere due aree e non solo una, non puoi marcare tutti, hai i tuoi tiri da gestirti, sviluppi tante competenze», spiega Claudia, l’altra allenatrice della squadra. «Qualcuno pensa che basti schierare tre 5 in campo e affidarsi a loro”, prosegue, «ma è una lettura superficiale”. “I 3 sono i ruoli chiave, sono versatili e possono segnare sia nei canestri principali che in quelli laterali”, sottolinea Alessandra, «ne abbiamo uno, Stefano, che è bravissimo, in allenamento non sbaglia un tiro, deve solo imparare a gestire meglio l’ansia della partita». Sentendole parlare di tattiche e delle caratteristiche dei loro giocatori non menzionano mai il fattore disabilità, le uniche differenze riguardano lo stile di tiro, la gestione dell’emozione, la consequenzialità dei movimenti da eseguire sul campo, concetti che interessano gli sportivi di ogni livello. «Abbiamo un ragazzo malato di SLA, Maurizio, che in una partita di campionato lo scorso anno ha segnato 47 punti, è il nostro bomber, ci affidiamo molto a lui».

Un momento dell’allenamento della squadra di Baskin del Sanga

Questione di fiducia – Il ruolo del pivot è esemplificativo: il suo contributo si riduce a un gesto, fondamentale nell’economia del risultato. Portargli la palla è un atto di fiducia verso la sua capacità di realizzare quel gesto, è la valorizzazione del suo talento. E per il pivot ricevere il pallone è un’occasione per ripagare quella fiducia. La dimostrazione che ne vale la pena. Jessica è appena sedicenne, si allena con la squadra di basket femminile di A2 del Sanga, ma si concede due sere a settimana con i suoi altri compagni di squadra: «Vengo perché sono felice nel vedere che il mio sport preferito possa essere alla portata di tutti, senza differenze». Annullare le differenze non vuol dire ignorarle, o isolarle. Significa includerle. Dopotutto, come sostiene Daniele, «la normalità è l’eccezione, non la norma». Il baskin esiste da quasi 20 anni, ma è ancora una realtà di nicchia: il Sanga è solo una delle due realtà esistenti a Milano. Mercoledì 19 ottobre la società festeggerà i 20 anni dalla fondazione con un evento organizzato a Palazzo Marino. Tra le tante conquiste, le vittorie nel campionato nazionale di baskin ottenute nel 2015 e nel 2017. Ma la vera vittoria sta nelle parole di Valentina: Jessica a fine allenamento registra un video in cui ognuno dei giocatori deve esprimere cosa rappresenta per sé il Sanga. Valentina non ha dubbi: «Per me è un sogno». Realizzato.