L’aumento dei prezzi delle bollette per imprese, enti locali e famiglie sta mettendo a rischio la ripresa economica in Italia. Secondo i dati di Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) dello scorso dicembre, le bollette dell’elettricità nelle case saliranno in media del 55% nel primo quadrimestre, quelle del gas del 41,8%. In Europa, a inizio 2021 il gas costava 15 euro a megawattora, alla fine dell’anno è salito fino a 180 euro, per poi assestarsi tra i 70 e gli 80. «Siamo nella morsa di una tenaglia», dice a Repubblica Marina Mastromauro, a capo dell’azienda Pasta Granoro. «Un chilo di semola lo pagavo 40 centesimi, adesso 85-88. È aumentato tutto. Tra un po’ sarà il disastro».

Le misure del governo – «Il governo non dimentica le difficoltà per l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica e sta preparando un intervento di ampia portata nei prossimi giorni», ha detto ieri, 9 febbraio, il presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso di una conferenza stampa tenuta a Genova. Intervento che, secondo le intenzioni della sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra, sarà tra i 5 e i 7 miliardi. In aggiunta ai 10,2 già stanziati tra luglio 2021 e lo scorso gennaio per famiglie e imprese. Dall’aumento dei prezzi sono però colpiti anche gli Enti Locali e il 10 febbraio, per protesta, tra le 20 e le 20.30 in molti aderiranno all’iniziativa lanciata dal sindaco di Cento (Ferrara), Edoardo Accorsi, staccando l’illuminazione dei principali monumenti della città. Il presidente dell’Anci Antonio Decaro stima in almeno 550 milioni di euro l’aumento della bolletta per i Comuni italiani, su una spesa complessiva annua che oscilla tra 1,6 e 1,8 miliardi. Accorsi prevede per il suo Comune un aumento tra i 400 e i 450.000 euro in più rispetto al milione e mezzo che di solito spende per gas e luce.

Servono interventi strutturali – Se i sostegni del governo possono fungere da palliativo per la situazione attuale, per risolvere il problema strutturale della dipendenza energetica, sostengono molti esperti, bisogna presentarsi sul mercato uniti con gli altri Paesi europei e investire di più nelle rinnovabili. Creando così una maggiore connessione tra industria e green economy, attraverso contratti di lunga durata a prezzi vantaggiosi, i cosiddetti Ppa (Power purchase agreement), con risparmi che possono arrivare fino al 40%. Ma l’anno scorso, nonostante le condizioni geografiche favorevoli, l’Italia si è piazzata all’ultimo posto in Europa per installazioni di impianti eolici e solari. Una soluzione per stimolare investimenti green, prospettata dal governo, sarebbe invece una sorta di scambio per cui il Gestore dei servizi energetici potrebbe cedere a prezzi calmierati energia rinnovabile elettrica ai settori industriali in crisi, che si impegnerebbero a realizzare, in un periodo di tempo determinato, 12 gigawatt di energia fotovoltaico e 5 di eolico attraverso contratti a lungo termine.

Quali sono i motivi – Proprio la dipendenza strutturale dell’Italia da agenti esterni per la fornitura di gas (42% del consumo totale di energia, dato più alto in Europa), rappresenta il principale fattore di vulnerabilità di fronte ad aumenti dei prezzi tanto repentini. La fortissima crescita della domanda di materie prime a livello mondiale, in concomitanza con il “rimbalzo” dopo la crisi economica più importante dell’ultimo decennio, ha reso insostenibile questa dipendenza. La Francia, per esempio, ha imposto a Edf, “l’Enel francese”, di cedere una quota di produzione energetica nucleare a prezzo calmierato e di differire l’aumento delle bollette. Con l’aggiunta di un taglio alle tasse sull’elettricità di 8 miliardi per famiglie e piccole imprese, è riuscita a diminuire, nel primo trimestre 2022, del 31% il fisiologico aumento dei prezzi (4% anziché 35). L’Italia del 10% (55% anziché 65).
Un secondo motivo consiste nella minor produzione di energia eolica nel Mare del Nord a causa del riscaldamento globale, che ha portato meno venti del solito. Nel terzo trimestre del 2021 si è usato solo il 14% della capacità eolica installata.
La terza e più attuale variabile risiede invece nel conflitto tra Russia e Ucraina, per molti analisti la più pericolosa e imprevedibile. I flussi di gas che passano alla frontiera di Tarvisio sono passati dai 2,62 miliardi di metri cubi a dicembre ai 1,5 di gennaio. L’unica rotta per ora inalterata è quella che passa per il gasdotto Nordstream 1, e diretta dunque alla Germania. Il che, alla luce del controverso progetto Nordstream 2, osteggiato da Stati Uniti e parte degli Stati membri dell’Ue, fa diffidare dalle motivazioni commerciali addotte da Putin per spiegare il taglio di forniture.