Riciclaggio. Con quest’accusa la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per Gianfranco Fini, la moglie Elisabetta Tulliani, il suocero Sergio e il cognato Giancarlo. Per quest’ultimo, che si trova libero su cauzione a Dubai, è stata chiesta l’estradizione. «La richiesta degli inquirenti era prevedibile, ribadisco la mia innocenza e confermo piena fiducia nell’operato della magistratura», ha fatto sapere in una nota l’ex leader di An. Oltre a lui e ai suoi familiari, rischiano di finire sotto processo altre sei persone tra le quali “il re delle slot” Francesco Corallo e il deputato napoletano di Forza Italia Amedeo Labocetta. Secondo il pm Barbara Sargenti, avrebbero tutti preso parte a una serie di operazioni finanziarie volte a nascondere i proventi del mancato pagamento delle imposte sul gioco on-line e sulle video-lottery di Corallo. Operazioni tra le quali figurano l’acquisto della casa di Montecarlo e altre attività finanziarie volte a ostacolare «l’identificazione delle provenienza delittuosa».

I fatti – Il 13 dicembre del 2016 l’imprenditore Francesco Corallo e Giancarlo Tulliani vengono arrestati per un giro d’affari sospetto. Tulliani, la sorella Elisabetta e il padre Sergio risultano infatti destinatari di enormi trasferimenti di denaro, non giustificati o giustificati con contratti fittizi. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Roma, che conduce l’indagine, queste somme sono riconducibili a Corallo e potrebbero essere parte di un’attività di riciclaggio. Negli atti dell’inchiesta, viene svelata anche la storia della casa di Montecarlo. Di proprietà della contessa Annamaria Colleoni, l’immobile viene lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale. Nel 2008, il partito lo vende alla società offshore Printemps che, si legge nell’ordinanza d’arresto, è «riconducibile a Giancarlo Tulliani che ha abitato nell’appartamento in questione e ha lì trasferito la sua residenza il primo gennaio 2009». Proprio a partire da quella data e con quell’indirizzo, Giancarlo Tulliani risulta iscritto all’Aire-Ambasciata d’Italia a Monaco. Pochi mesi dopo, la casa viene venduta di nuovo e diventa di proprietà di un’altra offshore: la caraibica Timara. Anche questa di proprietà di Tulliani, come conferma una lettera del 2010, inviata dal Primo ministro di Saint Lucia King Stephenson all’allora ministro degli esteri Franco Frattini e poi ritrovata nell’ufficio di Corallo a Sint Maarten durante una perquisizione. La procura attesta che la compravendita dell’immobile avviene a un costo di 330 mila euro, più 30.100 di spese «vale a dire proprio la cifra bonificata dal conto caraibico di Corallo».

Il coinvolgimento di Fini – L’operazione viene autorizzata da Gianfranco Fini, ai tempi vicepresidente della Camera. Il leader di An si dichiara però estraneo a qualsiasi tipo di attività illecita e nega di essere a conoscenza del fatto che l’immobile appartiene al cognato. In un’ intervista a Il Fatto Quotidiano, dichiara «sono un coglione, non sono un corrotto». Il giudice per le indagini preliminare non crede alla sue dichiarazioni e, a maggio 2017, firma un provvedimento di sequestro a suo carico. Nel documento, si legge che Fini non è una vittima ma ha avuto una “centralità progettuale e decisionale” nelle operazioni di Francesco Corallo che viene individuato come il “titolare di un’impresa  eminentemente criminale”. Il leader di An continua a negare. Nel novembre 2017 ritratta parte delle sue deposizioni. Dice di aver saputo «solo di recente» che il cognato è proprietario dell’immobile e di non aver parlato prima per «paura di ripercussioni sulle figlie». A questa giustificazione, se ne aggiunge un’altra: la promessa di dimissioni che Fini aveva fatto agli elettori, qualora la magistratura avesse accertato i legami tra il cognato e l’immobile, e che non poteva più mantenere per questioni di campagna elettorale. A gennaio 2018 arriva il rinvio a giudizio con il quale si accerta la responsabilità di Fini: non una vittima, ma un’intermediario consapevole di un rapporto illecito tra Corallo e la sua famiglia.