Malato da tempo e morto a 84 anni, compiuti il 12 novembre. Di Charles Manson è rimasta soltanto la svastica tatuata in fronte, tra le rughe degli anni. E l’epilogo di una malattia che l’ha ucciso lentamente. Perché già a gennaio, Manson, venne ricoverato in ospedale per gravi emorragie intestinali. In quella circostanza, era stata riscontrata la necessità di un intervento chirurgico per riparare una lesione. Troppo debole, però, per i medici, che l’avevano quindi rimandato in carcere nella prigione di Central Valley. Nei penitenziari ha passato gran parte della sua vita, per essere stato il mandante di due dei più efferati delitti della storia americana e per i quali fu condannato all’ergastolo.

Una vita dietro le sbarre – La prigione, però, Manson, la conobbe fin da ragazzino. A 16 anni compì il suo primo reato federale, trasportando oltre confine un’auto rubata. Dentro, la prima volta, ci finì quando ancora era minorenne, entrando e uscendo da diversi riformatori. Entrò nel penitenziario di Terminal Island nel 1954, per scontare una pena di tre anni. In prigione si avvicinò all’esoterismo, alla magia nera e alla necromanzia. Imparò a suonare la chitarra e decise di dedicarsi alla musica, che diventò per lui un’ossessione.

La setta – Fu rilasciato, su cauzione, nel 1967. Si trasferì a San Francisco, dove raccolse attorno a sé un gruppo di giovani, soprattutto ragazze, affascinati dal suo carisma. Ne raccolse 50. Qualcuno inizio a chiamarli «The Family», una specie di setta che girava su un autobus scolastico dipinto di nero. Da ognuno di loro, Manson venne considerato una divinità, al punto che per lui compirono due degli omicidi più feroci della storia contemporanea.

Gli omicidi del 1969 – La notte del 9 agosto 1969, a Cielo Drive, un ricco quartiere di Los Angeles, assassinarono Sharon Tate, moglie 26enne del regista Roman Polanski, incinta di otto mesi, e quattro suoi amici. A eseguire l’ordine furono Charles Tex Waston, Susan Atkins, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabian. Che sulla porta di casa scrissero, con il sangue della vittima, la parola «pigs», maiali. E, sullo specchio del bagno, «Helter skelter», confusione. Il 10 agosto 1969, fecero irruzione, insieme a Manson, nella villa di Leno e Rosemary LaBianca, che furono uccisi con più di 40 colpi alla testa con una forchetta. Su una parete interna della casa, la scritta «Death to pigs», morte ai maiali.

L’ergastolo – Le vittime di Manson furono tante. Massacrate. Uccise. Tagliate a pezzi. Lo fermò il procuratore Vincent Bugliosi che riuscì, dopo molte indagini, a incastrarlo. Linda Kasabian, testimoniò al processo contro di lui. Venne arrestato per il caso Tate-LaBianca e accusato di essere il mandante degli omicidi. Fu condannato a morte, ma una sentenza del 1972 della Corte Suprema della California considerò la pratica incostituzionale. La condanna si tramutò quindi in ergastolo, con la possibilità della libertà condizionale. Che gli venne negata 12 volte.