Il Presidente del Consiglio Mario Draghi (ANSA – Ettore Ferrari)

«Dobbiamo continuare a combattere le discriminazioni contro la comunità LGBTI, riaffermando la nostra difesa dei loro diritti fondamentali. Rispetto e tolleranza sono al cuore del progetto europeo». Un messaggio netto in un giugno caldo per il tema dei diritti LGBTIQ: è quello contenuto nella lettera alle istituzioni europee firmata dal premier Mario Draghi, insieme ad altri 15 capi di Stato e Governo Ue. Arriva all’indomani dell’intervento del presidente del Consiglio in Senato sulla nota con cui la Santa Sede chiedeva di modificare alcuni punti del ddl Zan sull’omotransfobia. Ma arriva soprattutto dopo che l’Italia ha sottoscritto una dichiarazione condivisa con altri 16 Paesi europei in cui si esprime preoccupazione per la legge contro “la promozione dell’omosessualità” approvata lo scorso 15 giugno in Ungheria.

La lettera – Il messaggio, firmato fra gli altri dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, dal presidente francese Emmanuel Macron e dal premier spagnolo Pedro Sanchéz, è stato inviato oggi, 24 giugno 2021, «in occasione della Giornata internazionale dell’orgoglio lesbico, gay, bisessuale e transgender e alla luce delle minacce recenti a diritti fondamentali, in particolare il principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale». La lettera è stata inviata al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, alla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e al presidente del Consiglio dell’Unione europea António Costa. Il testo è stato pubblicato su Twitter dall’account ufficiale di Palazzo Chigi, accompagnato da questo messaggio: «L’odio, l’intolleranza e la discriminazione non hanno posto nella nostra Unione. È per questo che, oggi e tutti i giorni, sosteniamo la diversità e l’uguaglianza LGBTI in modo che le generazioni future possano crescere in un’Europa di uguaglianza e rispetto».

L’intervento di Draghi in Senato –  La presa di posizione a livello europeo si accompagna all’intervento con cui Draghi ha risposto alle polemiche suscitate dalla nota del Vaticano, nella quale si esprimeva la preoccupazione che alcuni punti del ddl Zan potessero essere una violazione della Revisione del concordato del 1984.  «Il nostro è uno Stato laico, non è uno Stato confessionale», ha voluto ribadire il presidente del Consiglio ieri, 23 giugno, in Senato. «Il Parlamento è libero di discutere – ovviamente, sono considerazioni ovvie queste – e di legiferare», ha aggiunto Draghi, ricordando anche che il compito di giudicare la costituzionalità di un disegno di legge spetta in primis alle commissioni parlamentari e alla Corte Costituzionale: «Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa». Il premier ha anche voluto precisare, sulla scorta della sentenza della Corte del 1989, che «la laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, ma tutela del pluralismo e delle diversità culturali». Nel suo intervento, Draghi ha anche sottolineato di non voler entrare nel merito della discussione specifica sulla Legge Zan: «Come vedete, il Governo la sta seguendo. Ma questo è il momento del Parlamento».

La nota della Santa Sede – Per Draghi non è dunque il momento del Governo. Ma Oltretevere la preoccupazione per il ddl Zan è grande abbastanza da aver suscitato la richiesta formale all’esecutivo di rimodularne alcuni punti. La nota, un atto senza precedenti pubblici, la cui esistenza è stata rivelata il 22 giugno dal Corriere della Sera, è stata consegnata il 17 giugno da monsignor Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, all’ambasciatore italiano presso la Santa Sede. Diversi i nodi identificati dal testo, firmato solo con il timbro della Segreteria di Stato. «Alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa – particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi ‘fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere’ – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario», si legge nel testo della nota, diffuso ieri integralmente dall’agenzia Ansa. Secondo la Santa Sede, questo punto entrerebbe in contrasto con l’articolo 2 del Concordato, in cui si afferma che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione», e che «è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».