Digitale ma non più telematica, distanziata ma di nuovo inclusiva. I rettori degli atenei italiani pensano così l’università della fase 3 post lockdown da coronavirus, un periodo che comincerà a settembre e durerà fino al 31 gennaio del 2021. L’obiettivo principale è quello di tornare definitivamente all’attività in sede ma a quanto sembra, almeno per il primo semestre del nuovo anno accademico, il proposito sarà realizzabile soltanto in parte. Il documento pubblicato dal Ministero dell’Università e della Ricerca parla di «sicurezza e flessibilità» come linee guida del periodo post quarantena. Il governo ribadisce nel testo le adeguate misure di prevenzione al contagio da adottare: quindi didattica a distanza, accessi individuali a studi e laboratori, spostamenti limitati per i pendolari. E poi ancora, «niente plexiglas ma aule più grandi», come ha spiegato il ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi. Allo stesso tempo però le disposizioni governative evidenziano la possibilità di riaprire le porte delle aule per un numero contingentato di studenti. Una didattica mista dunque che alternerà lezioni in presenza e on-line, scongiurando almeno per il momento il ritorno di massa nelle aule. «L’università non nasce come posto telematico ma come luogo di relazioni e persone, i piani che stiamo preparando sono rivolti al recupero di questa identità» rassicura Ferruccio Resta, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane e rettore del Politecnico di Milano. Nonostante però i buoni propositi, soprattutto per le grandi università, pensare di riavere la maggior parte degli studenti in aula, o perfino tutti, è attualmente un’utopia.

Le scelte  – «Abbiamo stabilito delle linee guida unitarie a livello nazionale. È chiaro che i principi vanno poi applicati in maniera specifica a seconda delle varie realtà territoriali», spiega il ministro Manfredi. È così che i rettori delle università di Trento, Bologna, Verona, Perugia hanno annunciato per settembre piani specifici di didattica mista, mentre Firenze aprirà già a luglio la possibilità di laurearsi in presenza, prevedendo invece per settembre gruppi ridotti in aula con lezioni di 40 minuti. Esami e sessioni di laurea, che attualmente avvengono sempre a distanza, in videoconferenza o attraverso sistemi informatici elaborati appositamente, potranno invece essere svolte da settembre normalmente, dato che in entrambe le situazioni sarà possibile garantire le distanze minime tra studenti, docenti e uditori. Il Politecnico di Torino e la Statale di Milano sono invece tra gli atenei attualmente più restii alla riapertura delle porte. Per l’università piemontese il 45% degli studenti iscritti viene da fuori regione, per cui la didattica a distanza continuerà a essere la soluzione migliore. Questo non solo per la fase 3 ma, a detta del rettore Guido Saracco, con molta probabilità per tutto il prossimo anno accademico. Stesso atteggiamento di prudenza anche per la Statale di Milano, «Dall’inizio del lockdown abbiamo svolto in remoto più di 2mila 400 insegnamenti, effettuato 37mila esami di profitto e laureato 3mila 500 studenti» fa sapere la prorettrice didattica Marina Porrini. «Stiamo ora progettando la didattica per il primo semestre del nuovo anno 2020-2021, proponendoci di far proseguire le lezioni a distanza. In presenza saranno previste attività e iniziative specifiche che preferiremo delineare in conformità con le indicazioni che arriveranno dalle autorità sanitarie» continua Porrini. L’85% degli studenti della Statale si è dichiarato soddisfatto del servizio universitario durante l’emergenza da coronavirus, nonostante ribadisca quanto la frequenza e la relazione siano elementi fondamentali per un percorso completo. L’università lombarda, tre la prime ad adottare la didattica a distanza quando ancora i casi Covid erano limitati, ora riflette su come procedere: «Il progetto per la ripartenza graduale non può essere imposto dall’alto: ci stiamo confrontando con i direttori di dipartimento e con i comitati di direzione, anche per cercare di adattare un modello generale alle specifiche realtà formative, senza imposizioni, improponibili in un ateneo multidisciplinare come il nostro», spiega il rettore Elio Franzini.

La tecnologia indispensabile La didattica mista, applicata dalla maggior parte degli atenei per la fase 3, avrà bisogno di un rinnovamento tecnologico degli strumenti degli atenei. Tra le esigenze, piattaforme funzionali che garantiscano la telepresenza, lavagne virtuali, chat, forum. Non ultimi gli strumenti integrativi con specifici requisiti per l’apprendimento online. I Mooc per esempio, (letteralmente Massive Online Open Course), corsi pensati per la formazione a distanza in grado di contenere un numero elevato di utenti e che il Politecnico di Milano sta utilizzando già da diversi mesi. Mentre l’UniBo di Bologna annuncia un investimento di 3 milioni di euro per tutti i dispositivi tecnologici, l’università di Perugia registra circa 150 mila euro di spesa al mese per garantire i dispositivi di protezione per dipendenti e studenti, con una notevole preoccupazione per l’adeguata attrezzatura tecnologica di aule e laboratori. Il governo da parte sua ha contato circa 100 milioni di studenti in tutta Italia che finora hanno avuto grosse difficoltà con la strumentazione necessaria per seguire lezioni e fare esami a distanza. «Pensiamo di investire circa 25 milioni di euro» ha dichiarato il ministro Manfredi. Un intervento previsto non soltanto per i dispositivi tecnologici interni agli atenei ma anche per i cosiddetti problemi di banda. Molti studenti sono collocati in zone d’Italia in cui le difficoltà di linea sono tali da impedire un corretto collegamento, per cui sarà necessario investire anche nelle aree meno attrezzate.

Iscrizioni e agevolazioni – Anche le iscrizioni al nuovo anno accademico verranno effettuate esclusivamente on line. Nei mesi di giugno e luglio, open day virtuali aiuteranno gli studenti all’orientamento per la futura scelta universitaria, rimanendo aperti come portali e consultabili fino a settembre. «Per orientare le future matricole e aiutarle nella loro scelta stiamo prevedendo presentazioni live dei singoli corsi di studi e una descrizione dettagliata di tutti i servizi dell’ateneo. Mantenere la vocazione all’inclusività e alla partecipazione attiva è uno dei motivi che ci ha portato ad aggiungere altri 6 nuovi corsi di laurea magistrale ai 141 corsi totali già presenti nell’offerta formativa», racconta la prorettrice Porrini (Milano). Non lasciare indietro nessuno è uno degli obiettivi principali per il prossimo anno accademico, insieme a quello di evitare il drastico calo di iscrizioni. Garantire il 100% delle borse di studio è una delle strade prese in considerazione dagli atenei come UniBo, insieme alla proposta del governo di intervenire sulle tasse universitarie allargando la no tax area. Fino a 20mila euro di reddito Isee gli studenti saranno esenti da qualsiasi pagamento, mentre tra i 20mila e i 30mila euro verranno previsti sconti.

Test di ammissione ed esperienze all’estero – Per le facoltà ad accesso programmato i test di ammissione saranno mantenuti in presenza, almeno secondo le ultime direttive del ministro Manfredi. A modificarsi però è il calendario. Gli atenei dovranno ovviamente predisporre tutte le misure organizzative necessarie allo svolgimento in sicurezza delle prove, dunque le date sono state decise in base alla tempistiche di adattamento. Secondo il nuovo calendario, il primo test di accesso sarà quello di Veterinaria, previsto inizialmente per il 2 settembre e anticipato al primo. Il 3 settembre sarà la volta invece degli aspiranti medici. Modalità e contenuti delle prove sono ancora sconosciuti, così come il numero dei posti disponibili. Il ministro Manfredi ha anticipato al Corriere della Sera una cifra orientativa pari a 13mila 500 posti. A seguire, l’8 e il 16 settembre, i test di ammissione per Professioni sanitarie e Scienze della formazione primaria. Mentre ancora da definirsi è la data della prova del corso in Architettura. Riguardo i progetti di mobilità internazionale, meglio conosciuti come Erasmus, invece si sceglierà la strada della gestione mista, con una parte di attività e formazione a distanza e un’altra di mobilità fisica. «Non è la stessa cosa perché fare l’Erasmus significa cambiare Paese, cambiare vita» riflette il ministro Manfreda, «ma è un simbolo, un segnale di ripresa delle relazioni internazionali che non devono interrompersi».