Con il nuovo decreto Conte che limita le attività produttive contro la diffusione del coronavirus, l’Italia rallenta ma non si ferma. Il decreto, in vigore dal 23 marzo fino al 3 aprile, prevede la chiusura «di tutte le attività produttive e commerciali ad eccezione quelle previste nell’allegato 1». Secondo l’elenco allegato, sono 80 le attività “essenziali” che rimarranno operative.
La firma del testo ufficiale è arrivata alla fine del primo giorno di (leggera) flessione dei contagi e dei decessi da Covid-19. Secondo l’ultimo bollettino della Protezione Civile di domenica 22 marzo, sono stati registrati 651 morti (142 in meno rispetto al giorno precedente), che portano il totale a 5476 decessi. I nuovi contagiati sono 3.957 (864 in meno).
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Chi apre e chi chiude – Resteranno aperte tutte le attività del comparto medico e sanitario, inclusa la produzione di macchinari medici. Continuerà a funzionare e produrre tutta la fliera dell’agroalimentare, compresi i settori a essa connessi, come l’industria della plastica e del packaging. Continuano le attività dell’industria di smaltimento dei rifiuti, edile e della distribuzione dell’acqua e i settori “strategici” dell’estrazione del petrolio. Tra i servizi essenziali rimarranno aperte edicole, farmacie, supermercati e alimentari, poste e banche. Disponibili anche i servizi di riparazione di elettronica, telefonia ed elettrodomestici. Sono inclusi nell’allegato gli studi legali e contabili, di ingegneria e architettura, i servizi di assistenza sanitaria e domestica
Chiusura imposta, invece, alle attività produttive e commerciali non essenziali, e in particolare per tutte le fabbriche di abbigliamento, elettronica, telefonia, manifattura tabacchi.
Sindacati e opposizione sulle barricate – Un compromesso che limita le attività produttive nella lotta senza quartiere al
coronavirus, ma non spegne le polemiche tra governo, sindacati e opposizione. «Non era questo il testo concordato», hanno dichiarato Cgil, Cisl e Uil. «Si era delineato un quadro diverso: si era parlato di farmaceutica e agroalimentare», hanno detto a Adnkronos. I sindacati annunciano la mobilitazione generale per quei settori ritenuti non strategici dalle rappresentanze, ma inclusi nel testo definitivo del Dpcm.
Attaccano anche le opposizioni con Giorgia Meloni in prima linea, che denuncia il metodo “non democratico” del governo di comunicare le decisioni. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva annunciato le nuove misure in diretta Facebook, sabato 21 marzo alle 23:20. Un metodo e un orario non adeguato secondo la leader di Fratelli d’Italia. Matteo Salvini si fa portavoce delle istanze di tutta la destra: «Chiediamo che il Parlamento torni a lavorare, il governo non ci ascolta». Tutti i leader dell’opposizione avevano chiesto al governo di “chiudere tutto”, con apertura consentita solo al settore medico e dell’agroalimentare. Al fuoco incrociato risponde Dario Franceschini, che difende Conte: «Basta divisioni. Il Paese ha bisogno di unità»
La Lombardia non ci sta – Anche la Regione Lombardia ha espresso disappunto per le nuove misure adottate dal Governo. Il presidente Fontana ha ribadito che «restano in vigore le norme previste dalla mia ordinanza». Un provvedimento che ha decretato la sospensione delle attività degli studi professionali, la chiusura dei distributori di cibo e bevande h24 e la possibilità di una multa da 5mila euro per i trasgressori.
In un’intervista al Corriere della Sera, Fontana non ha risparmiato critiche all’operato del Governo: «Perché non chiudere tutti gli studi professionali, gli uffici pubblici e gli alberghi? E i cantieri edili? Avevamo anche il consenso dell’associazione dei costruttori! E il divieto di andare nelle case di vacanza? Qualcuno mi deve spiegare il perché. Hanno detto che c’è il consenso di tutte le Regioni, ma se è così manca quello della Lombardia». Una posizione che conferma gli scontri precedenti tra Governo e Regione Lombardia, mai univocamente d’accordo sulla gestione della crisi sanitaria in corso.
La Lombardia è la regione più colpita dal coronavirus con 27.206 persone positive al virus. Le vittime sono 3.456, e hanno superato quelle totali della Cina (3.245) in tre mesi di epidemia.