«Ramy ti amo» è scritto sui muri intorno a Piazza Gabrio Rosa. E’ uno dei segni lasciati dal cortei notturni che tra il 25 e il 26 novembre hanno invaso le strade del quartiere milanese Corvetto. Soprattutto in Via Omero una settantina di persone hanno bruciato cassonetti, lanciato petardi e danneggiato automobili in segno di protesta per la morte di Ramy Elgaml. Il ragazzo diciannovenne era rimasto ucciso, la notte prima, in un incidente stradale mentre, su un maxiscooter guidato da un amico (rimasto ferito), era inseguito da due auto dei carabinieri in zona Vigentino. I due ragazzi avevano forzato un posto di blocco, forse dopo un tentativo di rapina, ma in proposito le indagini sono in corso. Le proteste violente sono scattate quando nel quartiere si è diffusa la voce che una delle auto inseguitrici, anch’essa coinvolta nell’incidente, avesse speronato lo scooter in fuga. Uno dei carabinieri è ufficialmente sotto indagine, anche per consentirgli la nomina di un legale e la possibilità, in caso si accertasse una sua responsabilità, di difendersi.

Banlieue? – La vicenda ha avuto risalto nazionale e ha acceso un faro sui problemi che da decenni affliggono il quartiere. Non sono mancate le strumentalizzazioni, ma a Corvetto sono tutti d’accordo che il paragone con le banlieue parigine, periferie degradate e spesso teatro di sommosse, non regge. Milano, a differenza di Parigi, è piccola, si gira in bicicletta e non ha sobborghi isolati. Se le banlieue francesi formano delle cinte che circondano la città e spesso hanno un’amministrazione autonoma, Corvetto dista solo cinquanta minuti a piedi dal Duomo. Così la pensano i proprietari del bar in cui Ramy comprava le sigarette. E anche altri residenti del luogo minimizzano i disordini di Via Omero: «È stata la rabbia di una notte – ci dice una signora mentre esce dalla panetteria locale – un pretesto per fare un po’ di danni e scontrarsi con la polizia».

La testimonianza  – Come ci spiega un agente della Polizia Locale, che vuole rimanere anonimo, Corvetto ha sempre avuto problemi legati alla criminalità, ma fino agli anni ’90 era in mano ad alcuni clan legati alla camorra che convivevano tra loro. Con l’inizio del nuovo millennio, è diventato un centro multiculturale e la malavita è cambiata insieme al quartiere. Ora a farla da padrone sono dei «cani sciolti» più imprevedibili e litigiosi della vecchia camorra, spesso di origine nordafricana. Il poliziotto ha aggiunto che tante notti, mentre tornava a casa dopo il turno di lavoro, si è sentito in pericolo nonostante fosse armato.

La cooperativa La Strada – A pochi metri da via Omero si trova «La Strada», cooperativa che cerca, tutti i giorni, di aiutare i cittadini di Corvetto. Secondo il suo presidente, Gilberto Sbaraini, la vera questione da risolvere, che accomuna tutti i quartieri più problematici di Milano, è l’emergenza abitativa. In un mercato in cui i prezzi delle case private non smettono di aumentare, le case popolari diventano dei covi di emarginati, spesso arrabbiati con le istituzioni per il loro stato di abbandono. Associazioni come quella di Sbaraini ricevono sovvenzioni pubbliche, ma i soldi ricevuti non sono sufficienti a coprire tutte le attività che svolgono. Per la comunità di Corvetto, «La Strada» è un punto di riferimento perché si presenta come un aggregatore di giovani: fornisce aiuti scolastici, doposcuola, ma anche gioco e legalità. Alla domanda se consideri Milano una città accogliente, Sbaraini ha storto un po’ la bocca: «Milano è come una donna che ha speso tanti soldi per interventi di chirurgia estetica, ma ha scelto di ignorare le patologie che l’hanno colpita. Le metastasi sono proprio quei luoghi in cui vivono persone in condizioni di povertà e abbandonate a loro stesse. Corvetto è solo uno dei quartieri che ospita situazioni di degrado».