Si parla già di «variante milanese» della Covid-19. I ricercatori dell’Università Statale di Milano hanno scoperto una mutazione del virus Sars-Cov2 da campioni provenienti da due medici operanti nel capoluogo lombardo, un uomo e una donna di 51 e 48 anni, infettatisi nel marzo 2020. La ricerca, coordinata da Serena Delbue, Pasquale Ferrante ed Elena Pariani, è stata pubblicata il 2 febbraio 2021 sulla rivista scientifica Emerging Microbes&Infections. 

Le conseguenze – La mutazione non riguarda la proteina Spike, attraverso cui il virus penetra nel corpo umano e sulla quale agiscono i vaccini, ma la proteina Orf-6. Come spiegato da Serena Delbue all’Ansa, Orf-6 è una proteina accessoria: non contribuisce dunque alla struttura del virus, bensì alla sua patogenesi, ovvero sulla modalità in cui esso causa la malattia all’ospite. Nella «variante milanese», Orf-6 è mancante di sei amminoacidi rispetto al virus isolato per la prima volta a Wuhan. La mutazione potrebbe cambiare la risposta immunitaria del corpo umano, in particolare per quanto riguarda la produzione di interferoni. In questo senso c’è un’analogia con il virus della Sars, che come nella nuova variante ha effetti sulla produzione di interferoni ma non su quella di anticorpi.

Il ruolo della ricerca – La «variante milanese» non è di per sé preoccupante né la sua scoperta è qualcosa di anomalo: si stima che ci siano state circa 4mila mutazioni rispetto al virus di Wuhan, la maggior parte delle quali irrilevanti a fini medici. É anzi possibile che possa rendere la Covid-19 meno pericolosa: su questo seguiranno ulteriori ricerche. La sua scoperta pone però l’accento su un tema troppo spesso sottovalutato in Italia: l’importanza della ricerca per un costante sequenziamento genetico del virus. Come ammonisce il primario infettivologo dell’ospedale Sacco Massimo Galli sul quotidiano Il Giorno, le varianti sono oggi la sfida principale nella lotta al virus e possono essere messe sotto controllo solo attraverso la loro rapida identificazione prima che possano creare pericolosi focolai. Questo è possibile solo attraverso un grande sforzo nel sequenziamento genetico, al momento giudicato insufficiente da Galli.

La situazione varianti in Lombardia – Oltre alla «variante milanese», c’è attenzione in Lombardia sulla diffusione delle mutazioni predominanti del virus: quelle inglese, brasiliana e sudafricana. Nella giornata di ieri 10 febbraio, il Direttore Generale dell’assessorato regionale al Welfare Marco Trivelli ha fatto il punto in un intervento alla commissione Sanità del Consiglio Regionale. Al momento in Lombardia ci sono 126 casi di variante inglese, 1 di variante brasiliana e uno sospetto di variante sudafricana. Si tratta di un uomo 60enne rientrato dal Malawi: dopo aver avvertito i sintomi da Covid-19 è stato trasportato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Varese, ma non è ancora chiaro se si tratti della variante più temuta del virus.