Mentre gli Stati Uniti rimangono il Paese più colpito per casi e vittime dalla pandemia di Covid-19, l’Europa sembra dirigersi verso una terza ondata. Oltre 100mila vittime nel Regno Unito, la Francia sull’orlo di un terzo lockdown. La Norvegia chiude le frontiere e il Portogallo cancella i collegamenti con il Brasile per timore della nuova variante.

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Il triste primato inglese – Nel Regno Unito si superano i 100mila morti: un costo vertiginoso per aver sottovalutato la pandemia nelle sue fasi iniziali, quando la contagiosità del virus era già nota in Europa e l’Italia era rinchiusa nel suo primo lockdown totale da settimane. Di «errori monumentali» parla apertamente il partito laburista dai banchi dell’opposizione, ma al cospetto di numeri tanto impietosi è la stessa maggioranza di Boris Johnson ad ammettere di aver «fatto degli errori», definendo «fuori controllo» l’incedere della pandemia a causa della nuova variante.

Non va meglio in Ue – Con 74mila vittime e la situazione sanitaria in lento ma costante deterioramento, la Francia si avvia verso un ulteriore lockdown totale – il terzo – ritenuto inevitabile dal presidente Emmanuel Macron, che ha definito insufficienti le restrizioni vigenti, tra cui l’inizio del coprifuoco a partire dalle ore 18. Anche la Germania pensa a nuove limitazioni, tra cui il controllo degli ingressi dai Paesi limitrofi. La Cancelliera Angela Merkel è tra i leader europei ad aver esternato maggiore «preoccupazione» per le nuove varianti del virus. Chiudere le frontiere è stata l’opzione scelta dal governo norvegese: il Paese scandinavo, varando le misure «più severe dal 12 marzo» ha vietato l’ingresso a tutti i non residenti nel tentativo di arginare il diffondersi delle nuove varianti. Anche il Portogallo ha cancellato tutti i collegamenti con il Brasile, il Paese iberico sta vivendo la fase più drammatica della pandemia dal suo inizio in primavera e nella giornata di ieri, mercoledì 27 gennaio, ha toccato il record di 293 decessi giornalieri.

I motivi dell’insuccesso europeo – Dallo scoppio della pandemia, confrontando il successo delle policy di contenimento asiatiche con quelle made in Ue, sono molti i fattori tirati in ballo per spiegare risultati tanto diversi. Il quoziente democratico dei Paesi, l’osservanza delle regole e il rispetto della collettività da parte della popolazione sono tra i parametri che sin da subito sono stati evidenziati nel tentativo di trovare una ratio all’efficienza asiatica. «Fattori importantissimi», secondo il professor Fabrizio Pregliasco, ricercatore della Statale di Milano. «Tra le concause, aggiungerei la diffusione capillare della tecnologia in molti Paesi orientali», senza dimenticare che «là hanno iniziato a fare test su larga scala da subito. In questo senso, noi europei abbiamo fatto scappare i buoi: una volta che i focolai si sono diffusi, è più difficile assicurare un sistema di tracciamento sistemico». A giocare un ruolo fondamentale, anche la superiorità nella literacy matematico-scientifica da parte degli studenti – sono 8 i Paesi asiatici nella top 10 dell’ultimo rank Ocse (2018). «Oltre a incidere sulla comprensione del fattore probabilistico della trasmissione – spiega Pregliasco – le competenze matematiche rappresentano uno strumento funzionale all’autodisciplina».