Thomas J. Jordan, presidente della Banca nazionale svizzera
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«Per ogni giù c’è sempre un su», cantava Mago Merlino ne La spada nella roccia. Dopo essere scesa del 28% in borsa il 15 marzo, alla seconda banca elvetica serviva davvero una magia e così è stato. Il 16 marzo il titolo della Credit Suisse ha aperto con un rialzo del 40%, dopo che la Banca nazionale svizzera ha annunciato un prestito di 50 miliardi di franchi e il riacquisto di debito senior (debito che ha per sua natura priorità su quelli non garantiti o più deboli, ndr) per 3 miliardi di franchi. Thomas J. Jordan, presidente della Banca nazionale Svizzera (Bns), ha così salvato, per ora, Ulrich Körner, amministratore delegato di Credit Suisse. Körner è diventato Ad solo a luglio e ha già dovuto fronteggiare diversi problemi a livello strutturale della Banca. Il rischio di crac è aumentato con l’incertezza dei mercati finanzari dovuta al fallimento della Silicon Valley Bank, ma l’istituto di credito era in difficoltà già in precedenza.

Problemi – La banca era da settimane sofferente in borsa. A inizio febbraio aveva pubblicato i risultati relativi al 2022 che indicavano la perdita finanziaria più grave dal 2008. Il crollo definitivo è avvenuto, però, il 15 marzo quando il presidente della Saudi National Bank, prima azionista di Cs, aveva escluso la possibilità di dare altra liquidità per risollevare la banca. La situazione della Credit Suisse e il fallimento della Silicon Valley Bank non sarebbero collegate in maniera diretta, ma il crollo della banca americana un ruolo di rilievo l’ha comunque giocato. Se ci aggiungiamo il generale aumento dei tassi di interesse operato dalle varie Banche Centrali per combattere l’inflazione, il disastro è servito.

La ristrutturazione – I pessimi risultati presentati a febbraio derivano a loro volta da investimenti incerti e politiche discutibili. A ottobre la Credit Suisse aveva perso oltre 5,9 miliardi di franchi svizzeri per via dei casi Greensill e Archegos Capital. Greensill era una società di servizi finanziari, fallita nel 2021, che collaborava nella gestione di fondi con diversi partner, tra cui proprio Credit Suisse. Archegos, invece, era un fondo speculativo chiuso nel 2021 a cui la banca elvetica si era appoggiata. Questi duri colpi avevano portato a un robusto piano di ristrutturazione: un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi, una riorganizzazione dell’investment banking, un drastico taglio del personale e una riduzione del 40% degli asset ponderati per il rischio. La necessità dell’aumento di capitale aveva portato la Saudi National Bank a dare liquidità alla Cs fino al punto di diventare la prima azionista. A distanza di pochi mesi, l’istituto si è rifiutato di rifarlo.

Gli scandali – A completare il cerchio della situazione precaria di Credit Suisse, sono gli scandali che la accompagnano da sempre. Il caso più recente è stato a febbraio 2022. L’inchiesta giornalistica Suisse Secrets, frutto della collaborazione di 47 testate internazionali, tra cui La Stampa e IrpiMedia,  ha evidenziato che tra diciottomila conti correnti in Credit Suisse, risultano intestatari anche malavitosi, torturatori e ricercati, oltre a evasori fiscali. Quasi folkloristico, invece, l’episodio che ha riguardato l’ex presidente della banca Antonio Horta-Osorio. Si è dimesso nel 2022 perché non aveva rispettato le restrizioni legate al COVID-19 ed era volato a Wimbledon nel 2021, con il jet aziendale, per assistere alla finale Berrettini-Djokovic. Sempre nel 2022, la banca elvetica è stata condannata dal Tribunale penale federale a pagare 2 milioni di franchi per riciclaggio di denaro in un giro di traffico di droga bulgaro.