La fotografia è quella di un paese multietnico, dove è sempre più sbiadita la differenza tra chi è nato in Italia e chi ha un background migratorio. A presentarla, la fondazione Iniziative e studi sulla multietnicità (Ismu), che nel 29esimo rapporto annuale sulle migrazioni ha preso in esame i dati aggiornati al 1° gennaio 2023. Nel complesso il numero di stranieri è diminuito rispetto all’anno precedente ma spicca una stabilizzazione delle persone con passaporto diverso, pari a 5 milioni e 77mila nel nostro Paese.
Il rapporto – Il dossier mostra un’altra realtà rispetto a quella percepita. Per gli studiosi Ismu non si può parlare di “emergenza migranti” ma di un fenomeno che si sta stabilizzando. «I dati sono un contributo essenziale per rendere più oggettivo un fenomeno estremamente complesso in cui si sono creati tantissimi pregiudizi. Il rapporto vuole mostrare come stanno i fatti sia all’opinione pubblica sia a coloro che devono prendere le decisioni», spiega Nicola Pasini, segretario generale di Ismu. Gli stranieri in Italia sono 55mila in meno dell’anno precedente. Diminuiscono anche gli irregolari, 458mila contro i 506mila del 2021, e crescono i residenti, 110mila in più. Contro l’opinione diffusa è anche il bilancio demografico. Sebbene si pensi che i migranti possano risollevare il tasso di natalità italiano, Ismu ha osservato un calo delle nascite straniere costante negli ultimi dieci anni.
Il calo demografico – La fecondità è stata misurata nel ventennio 2002-2022. Durante questo periodo, mentre il numero di nati italiani diminuiva da 505mila a 340mila, i neonati stranieri aumentavano da 34 a 53mila. Tuttavia, a partire dal 2012 si è osservato un calo stabile di nascite estere, con una riduzione di 27mila nascite rispetto a dieci anni prima, quando ne erano state registrate fino a 80mila. Secondo gli esperti dell’Ismu si tratta di un fenomeno strutturale, che si sta consolidando e che gradualmente metterà in discussione la teoria secondo cui l’immigrazione potrebbe costituire una soluzione al declino demografico e all’invecchiamento della popolazione. “A illuderci che il tasso di natalità sia ancora in crescita è stato l’effetto Baby boom – spiega Livia Ortensi, responsabile statistica di Ismu – Negli anni 90 è arrivata una prima leva di migranti prevalentemente maschi. Negli anni 2000 c’è stata una femminilizzazione di questi primi flussi e ricongiungimenti familiari di chi era arrivato negli anni 90. Questo ha generato un picco delle nascite”. Tuttavia, l’effetto sembra ora attenuarsi, e tra la popolazione migrante si osservano tendenze demografiche molto simili a quelle italiane, soprattutto per coloro che risiedono in Italia da lungo tempo.
Il lavoro – Il calo delle nascite è dovuto anche alle condizioni di lavoro. Dal rapporto emerge che il 2023 ha segnato un record occupazionale storico: 1.057.620 assunzioni programmate da aziende italiane. Nonostante l’occupazione, tuttavia, i dipendenti stranieri sono spesso tra i meno retribuiti e ad alto rischio di povertà. Il settore con la maggiore concentrazione di persone con passaporto diverso impiegate con contratti dipendenti è quello dei servizi personali e collettivi (31 per cento), seguito da agricoltura, ristorazione, turismo e costruzioni. Secondo l’analisi dell’Ismu, il “lavoro povero” è predominante tra i migranti, e i redditi sono nettamente diseguali. In media, un lavoratore straniero con contratto a tempo indeterminato guadagna 19mila euro all’anno, mentre chi ha un contratto a termine, soprattutto proveniente da zone extraeuropee, percepisce uno stipendio inferiore dell’8,3 per cento rispetto a un suo pari dell’area Ue. Inoltre, la carenza di istruzione è un fattore rilevante: la maggior parte dei migranti non possiede titoli di studio elevati e il 60,2 per cento degli stranieri laureati svolge lavori a media o bassa qualificazione. Questo scenario indica che i nuovi arrivati hanno maggiori difficoltà nell’ottenere condizioni di vita e di lavoro sostenibili, mentre l’Italia continua ad attrarre principalmente immigrati poco istruiti, segnando un record tra i paesi membri dell’Unione europea.
L’istruzione – Nelle scuole italiane, ad avere un background migratorio è il 10,6 per cento del totale degli iscritti. Nell’aprile del 2023 il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha certificato la presenza di quasi 900mila alunni con entrambi i genitori stranieri per l’anno scolastico 2022/23. Tra di loro il 44 per cento è di origine europea. Un aspetto problematico rimane il ritardo scolastico, cioè la frequenza di una classe inferiore rispetto all’età anagrafica. Nell’anno scolastico 2021/22 riguarda il 25,4 per cento degli stranieri (gli italiani sono l’8,1). Nel complesso, il dato fra i non italiani si è ridotto nel tempo. Tuttavia, le percentuali di studenti in ritardo sono ancora molto elevate, soprattutto nelle scuole superiori. A preoccupare sono anche i dati che riguardano l’abbandono scolastico e i giovani inattivi. Nel 2022, gli stranieri che si sono fermati alla terza media sono il triplo degli italiani, con un valore percentuale di 28,7 contro il 9,7. Inoltre, i giovani stranieri che non studiano né lavorano (Neet) sono il 29 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni con cittadinanza non italiana, quasi il doppio rispetto dei giovani Neet italiani.