La madre di Dj Fabo, Carmen Carollo, e la pm Tiziana Siciliano

«La mattina del 27 febbraio sono arrivata che non ho praticamente dormito. Mi sono messa nel letto con lui, come facevo ogni giorno.  Mi sono appoggiata al suo orecchio per fargli sentire che ero vicina. Lui ha mangiato il suo yogurt e poi sono iniziate le procedure». Ha la voce ferma e serena Valeria Imbrogno, la compagna di Dj Fabo e testimone chiave del processo per «aiuto al suicidio» a carico di Marco Cappato. Poche ore dopo quell’ultima sveglia, Fabo morde un pulsante: la dose letale di farmaco che sta per entrargli in circolo lo addormenterà per sempre. Prima dell’addio definitivo la madre lo incoraggia, nonostante non riesca ad accettare fino in fondo la sua scelta: «Vai, Fabiano, la mamma vuole che tu vada». A rievocare la scena è proprio lei, Carmen Carollo, mentre risponde alle domande dei pm della corte d’Assise di Milano.

L’uomo Fabiano – Giunti alla seconda udienza del processo, sono le testimonianze della madre e della compagna di Fabo a tenere banco. «Non ci si poteva annoiare mai. Era vivo. Aveva voglia di vita». Parla per quasi due ore la compagna di dj Fabo: tra le tante domande la relazione tra Fabo e Marco Cappato, ma soprattutto una ricostruzione a tutto campo dell’uomo Fabiano. «Non stava mai un attimo fermo. A lui serviva una giornata di 48 ore», racconta sorridendo la compagna. A volte le scappa un presente, come se lui fosse ancora lì. Si conoscevano da 25 anni e stavano insieme da più di dieci: lei è una pugile a livello agonistico e lui un dj, un grande amante della musica ma anche dello sport. Da sei anni trascorrevano, ogni anno, alcuni mesi in India, di cui si erano innamorati dopo un viaggio. L’incidente che interrompe tutto arriva proprio «nel momento migliore», quando entrambi hanno trovato un lavoro per trasferirsi in via quasi definitiva a Goa: «Saremmo partiti per l’India a settembre», spiega la Imbrogno.

Una decisione consapevole – Dopo l’incidente, la vita di Fabo non è più quella di prima: perde la vista e rimane tetraplegico – non riesce più a muovere gambe e braccia. Nonostante tutti gli sforzi per tornare alla normalità – lo shopping e le uscite con gli amici nei locali di sempre – Fabo, poco a poco, smette di lottare. Il primo segnale di cedimento, quando «comincia a rifiutare la fisioterapia». «Diventava sempre più legnoso e ogni cosa diventava più faticosa». Ma la madre e Valeria cercano di prendere tempo: usano tutta la pazienza che hanno e cercano di non farlo cedere allo sconforto. Poi «arriva un giorno in cui mi dice: “ti devo parlare”», ricorda Valeria. «Io lo ho ascoltato», continua. E da quel momento inizia la ricerca di informazioni. Dopo aver escluso una clinica a Lugano, cominciano a informarsi sui servizi della Dignitas, vicino a Zurigo. È in questa fase che iniziano i contatti con Marco Cappato, segretario dell’Associazione Luca Coscioni e attivista per i diritti civili. Secondo Cappato morire dignitosamente dovrebbe essere un diritto: per questo decide di aiutare Fabo.

L’epilogo – Quando, nel novembre 2016, Fabo ottiene il «semaforo verde» dalla clinica Dignitas, sa che, in qualunque momento lo voglia, potrà andare a morire. Per ottenerlo ha dovuto dimostrare, tra le altre cose, che è capace di intendere e di volere e che non è depresso. Dopo una delle consuete riunioni con la madre e Valeria, e un pomeriggio trascorso da solo a pensare, stabilisce la data di addio. I dolori che lo accompagnano ogni giorno sono fortissimi – «arrivavamo a dargli tre volte la dose di antidolorifici prescritta dal medico» – e Fabo si chiede sempre più spesso: «Che vita è, questa?». Quando Valeria e la madre cercano di dissuaderlo lui minaccia lo sciopero della fame e della parola. Ignorare la sua volontà non è più possibile. Con l’aiuto di Marco Cappato, la mattina del 26 febbraio 2017, partono da Milano e arrivano alla Dignitas. Fino all’ultimo istante tutti gli ripetono che – in ogni momento – può decidere di ripensare alla sua decisione. Ma Fabo, ormai, è convinto. Il 27 febbraio morde il pulsante che, di lì a poco, lo farà addormentare.

Una battaglia pubblica – Tenace e combattiva fino alla fine, Valeria confessa di essersi sentita sconfitta. È una pugile, ma, questa volta – racconta al pubblico ministero –, sul ring della vita, dopo aver combattuto con tutte le sue forze, si è trovata stesa a terra. Anche con Fabo usava una metafora pugilistica. Gli diceva: «Ho combattuto con la signora Morte. Ma è un match che non riesco a vincere». Fabo le rispondeva: «Tu non ti devi sentire sconfitta. Questa per me è una vittoria». Con l’intervista alle Iene, poi, e la trasformazione pubblica del suo caso, Fabo si è sentito utile. «Si è sentito vivo, per un’ultima volta». In aula regna il silenzio assoluto: tra un appunto e l’altro, i cronisti si asciugano le lacrime.