Maysoon Majidi è stata assolta, «non ha commesso il fatto». Sono le 17:02, nell’aula giudiziaria di Crotone, quando viene letta la sentenza. Dopo dieci mesi di carcere, più di un anno di processo e diversi scioperi della fame, l’attivista curdo-iraniana è stata scagionata dall’accusa di concorso in favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Sono così definitivamente cadute le richieste della pm Rosaria Multari, ossia la condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione e il pagamento di un milione di euro di multa. Un boato di felicità ha accolto la dichiarazione di innocenza della giovane, fra l’esultanza generale delle tante persone presenti in suo sostegno: il fratello, i cinquanta attivisti della rete Free Maysoon; l’Arci, rappresentato dal presidente provinciale Filippo Sestito, e il consigliere regionale Ferdinando Sacchi.

La vicenda – Il 31 dicembre 2023 la barca con a bordo Majidi era attraccata sulle coste calabresi dopo cinque giorni di navigazione e molti di più di peregrinazione fra i confini di diversi Stati mediorientali. Scappata dall‘Iran dove girava documentari non favorevoli al regime, era passata prima dal Kurdistan iracheno, per poi entrare in Turchia, da cui si è imbarcata: un’odissea per la quale il padre ha speso 17mila dollari. Arrivata in Italia, l’approdo in località Gabella, vicino a Crotone, e poi la fuga – presto intercettata – su un gommone gonfiabile assieme ad altri cinque naufraghi, fra cui suo fratello Rezhan e il capitano dell’imbarcazione. «Fu dovuta soltanto alla paura di essere esplusa in Iran», ricorda la ragazza. Un Paese il cui regime repressivo metteva la sua vita in pericolo dopo le sue denunce. Curda, donna e politicamente schierata – milita nel partito di ispirazione socialdemocratica Komala – è fuggita da un governo che le stava ormai col fiato sul collo, cercando un luogo dove potersi esprimere liberamente. In Italia ha invece trovato il carcere, durato fino all’ottobre 2023. Gli inquirenti sospettavano fosse una scafista, «una hostess di bordo», come è stata definita dalla p.m., una complice della tratta. «Secondo i giudici avrei dato ordini sulla barca, consegnato acqua e cibo. Nulla di più falso. Se ci fosse stata la possibilità, avrei aiutato qualcuno, ma avevano i nostri zaini con viveri e acqua», ha dichiarato in un’intervista a il manifesto.

Le accuse cadute – La pubblica accusa si basava su argomentazioni che sono andate via via perdendo consistenza. Il primo pilastro della pm era costituito da due testimonianze – due su 77 passeggeri. Persone poi divenute irreperibili, hanno infine sciolto ogni dubbio dopo aver spiegato in un video di non aver mai pronunciato quelle parole. Il secondo fondamento dell’accusa era costituito dal capitano reo confesso, che l’ha scagionata, sollevandola da ogni coinvolgimento. Gli altri testimoni, infine, hanno smentito parola per parola quanto scritto nei verbali, mentre le perizie smentivano le ipotesi che Maysoon Majidi avesse ricoperto alcun ruolo nella tratta. L’avvocato difensore della ragazza, Giancarlo Liberati, ha dichiarato: «La mia assistita è stata vittima due volte, dei trafficanti e di una indagine che l’ha quasi distrutta nel fisico e nell’animo». «Io oggi – ha concluso Majidi – ho raggiunto finalmente la libertà. Ed è per me un giorno indimenticabile».