Il Parlamento – Si comincerà a votare il prossimo 23 marzo, giorno della prima seduta delle nuove Camere, per l’assegnazione della carica di presidente del Senato e della Camera dei deputati. Per il Senato dovrebbero bastare un paio di giorni perché se non si raggiunge la maggioranza assoluta nelle prime tre votazioni si procede al ballottaggio fra i due candidati più votati. Come sempre il totonomine va maneggiato con cura, ma qualche nome ha già iniziato a circolare, come scrive il Corriere della sera: «dal leghista Roberto Calderoli al pentastellato Roberto Fico, dal capogruppo di Forza Italia Paolo Romani al diversamente renziano Graziano Delrio». La presidenza del Senato è di cruciale importanza in un momento delicato come quello post elettorale e in assenza di una maggioranza assoluta, perché il presidente della Repubblica potrebbe decidere di affidare proprio a lui il mandato esplorativo. In ogni caso, siccome un governo deve per forza esserci (lo dice la Costituzione), finché non si insedia quello nuovo rimane in carica l’attuale a guida Gentiloni.
Gli sconfitti: Renzi – Il grande perdente di questa tornata elettorale è il Partito Democratico, e con lui il suo segretario Matteo Renzi. L’ex presidente del Consiglio ha annunciato le sue dimissioni dalla carica di segretario di partito, ma non subito. La sconfitta è stata netta «ed è ovvio che io lasci la guida del Partito Democratico», ha detto Renzi in conferenza stampa, ma non prima dell’insediamento del nuovo Governo: «Se siamo mafiosi, corrotti, impresentabili, con le mani sporche di sangue, sapete che c’è? Fate il governo senza di noi, il nostro posto è all’ opposizione… Lì ci hanno chiesto di stare i cittadini italiani e lì staremo. Il Pd è nato contro i caminetti, non diventerà la stampella di forze antisistema. Si parla spesso di forze responsabili. Saremo responsabili e la nostra responsabilità sarà di stare all’opposizione», ha continuato il segretario dem, escludendo (sembra) qualsiasi sostegno da parte del Pd a un governo a guida pentastellata o leghista. Una sorta di calcolato ostruzionismo. Le critiche alla decisione di Renzi di rimandare le sue dimissioni a dopo la formazione del Governo non si sono fatte attendere. Il capogruppo Pd Luigi Zanda ha dichiarato: «Rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo».
Gli sconfitti: Serracchiani – Dimissioni a scoppio ritardato, ma anche dimissioni estemporanee nel Pd. «Alla luce del risultato delle elezioni, per senso di responsabilità nei confronti di tutta la comunità del partito, ho preso la decisione di dimettermi dalla Segreteria nazionale del Pd». La resa arriva da Debora Serracchiani, governatore del Friuli Venezia Giulia. «Oggi stesso farò pervenire al segretario nazionale la lettera formale».
Gli sconfitti: Bonino – La prima dichiarazione di Emma Bonino si è fatta attendere dopo il flop elettorale di +Europa. Con un risultato elettorale del 2,5% il partito guidato da Bonino rimane fuori dal Parlamento, dove la soglia di sbarramento è al 3%. L’unica a entrare, in Senato, potrebbe essere lei, in testa nelle sezioni del collegio uninominale Senato di Roma 1. «Ieri ci siamo riuniti e abbiamo deciso senza tentennamenti che questo progetto deve continuare: troveremo le formule e il modo ma nessuno è stato disposto a tradurre la sconfitta numerica, evidente, in una sconfitta del progetto politico», ha detto Emma Bonino nel corso di una conferenza per commentare il voto.
I vincenti: Salvini – «Mi chiedono: andresti al governo con Di Maio? La risposta è no. Ho letto ipotesi bizzarre. Ma la squadra è quella del centrodestra. La stessa con cui abbiamo giocato la partita», dice Matteo Salvini, il leader della Lega e, all’indomani del risultato elettorale, anche della coalizione di Centrodestra. «Sceglierà il presidente della Repubblica il presidente del Consiglio più vicino alla realtà: la nostra squadra è quella a cui mancano meno numeri», ha aggiunto dopo aver escluso la possibilità di alleanze strategiche con l’altro vincitore di questa tornata, il Movimento 5 stelle guidato da Luigi Di Maio. Un solo sospetto impensierisce i leghisti: che, in caso di un governo di Centrodestra, Forza Italia continui a coltivare l’ipotesi di un sostegno esterno del Partito Democratico, ora all’opposizione.
I vincitori: Di Maio – «Siamo i vincitori assoluti di queste elezioni, un grande grazie ai circa 11 milioni di italiani che ci hanno dato la loro fiducia. Un altro grazie a Grillo e Casaleggio, agli attivisti e ai volontari. È stata una campagna autofinanziata. M5s triplica i parlamentari in entrambe le Camere», inizia così il discorso di trionfo di Luigi Di Maio, candidato alla presidenza del Consiglio dei ministri per il Movimento 5 stelle. Un boom preannunciato quello dei pentastellati alle urne, soprattutto nel centrosud del Paese. «Siamo una forza politica che rappresenta l’intera nazione, questo ci proietta automaticamente verso il governo dell’Italia. Oggi le coalizioni non hanno i numeri per governare e per questo ci prendiamo questa responsabilità. Sentiamo la responsabilità di dare un governo al Paese», ha continuato il leader che poi ha detto di essere disponibile al confronto con tutte le forze politiche. Le preferenze degli italiani per il M5s hanno superato il 30% ed effettivamente il movimento fondato da Beppe Grillo si conferma il primo partito d’Italia. Ma i numeri non sono ancora sufficienti per raggiungere la maggioranza assoluta.