A casa in 500. Lunedì 19 febbraio la Embraco di Riva di Chieri (Torino) ha respinto la proposta del Governo di ritirare i 497 licenziamenti e di attivare la cassa integrazione. Il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha reagito apostrofando con il termine “gentaglia” i vertici dell’azienda, che produce compressori per frigoriferi ed è controllata dal gruppo Whirpool. Embraco ha confermato i tagli di personale in Italia perché ha deciso di spostare la produzione nel solo stabilimento presente in Slovacchia. «Sono degli irresponsabili e non li riceverò più», ha detto il ministro. Calenda vuole opporsi al progetto e affronterà la questione in sede europea in un incontro con la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager, fissato nella giornata di martedì 20.

Costo del lavoro – Una deroga ai trattati per singoli casi, come ad esempio quello di Embraco. È quello che Calenda chiederà a Vestager. In Slovacchia, e questo è ciò che spiega la decisione dell’azienda, Embraco potrebbe continuare a produrre ma a costi molto inferiori, ma soprattutto manterrebbe l’accesso al mercato unico europeo. «Ci sono condizioni che sono strutturali», ha spiegato Calenda, «per cui alcuni Paesi in una diversa fase di sviluppo come la Polonia hanno un costo del lavoro più basso. E io non posso fare una norma che dice che per Embraco il costo del lavoro è un x più basso, perché sarebbe un aiuto di Stato». E allora Calenda andrà a Bruxelles a chiedere se si possano «interpretare i trattati, nel senso di dire se in questo specifico caso, cioè di un’azienda che si muove verso la Slovacchia, questa normativa possa essere derogata. Vedremo quale sarà la risposta di Vestager». Secondo Calenda c’è in atto una «competizione non leale» da parte della Slovacchia, che offre alle multinazionali condizioni di gran vantaggio (anche fiscale) soprattutto attraverso i Fondi strutturali europei, che non potrebbero esser usati per attirare le società. Vestager sarà chiamata a valutare se la scelta dell’azienda di trasferire lo stabilimento in Slovacchia va o no contro le regole europee della concorrenza.

«Restituiscano i soldi» – La vicenda va avanti dallo scorso ottobre, quando l’azienda ha annunciato di voler tagliare buona parte della produzione a Riva di Chieri per delocalizzare. Ma a ottobre l’azienda non parlò della chiusura dello stabilimento, come invece è poi emerso dopo la comunicazione data dalla controllante di Embraco, Whirlpool, alla Sec (la Consob americana). Oggi, secondo l’azienda, circa un quarto del mercato globale dei compressori passa per i suoi stabilimenti, con più di 37 milioni di compressori prodotti annualmente e 80 nazioni servite. In Italia sono in molti ad accusare Embraco di aver a lungo beneficiato sia di fondi pubblici che di agevolazioni fiscali. Parte della politica chiede che l’azienda restituisca i soldi prima di andare via. «Riproporremo la proposta di legge che prevede la restituzione di incentivi di Stato a imprese che lasciano dopo un tempo limitato. Non si può consentire che una multinazionale prenda i soldi dallo Stato e poi possa andarsene come e quando vuole. Dietro i numeri ci sono le persone», ha dichiarato Roberto Speranza di Liberi e Uguali. Nessuno però è in grado di dare numeri precisi perché non è semplice mettersi a calcolare le cifre esatte di cui ha beneficiato l’azienda. Intanto il prossimo 25 marzo partiranno i licenziamenti collettivi. È improbabile che una decisione da parte dell’Ue arrivi prima di quella data. Nella mattina di martedì 20 un lavoratore dell’Embraco, Daniele Simoni, da 25 anni operaio nello stabilimento di Riva di Chieri, si è incatenato ai cancelli della fabbrica. «Non voglio mollare, è la mia fabbrica e mi ha dato da mangiare per 25 anni, finché c’è uno spiraglio non mollerò», ha spiegato l’operaio.