Una foto del compito inviata su WhatsApp e un insegnante fa l’esame in chat al posto dello studente. Succede a Genova, dove la Guardia di Finanza ha denunciato 22 persone nell’ambito dell’indagine “110 e frode”. Al centro ci sarebbe un professore della scuola secondaria: dietro compenso, il docente aiutava in diretta a superare gli esami scritti.
La compravendita di esami – L’indagine è nata da una segnalazione dell’Università di Genova, che sospettava una compravendita di compiti per gli esami scritti della facoltà di Economia aziendale. Le Fiamme Gialle si sono presentate a casa dell’insegnante nel giorno dell’appello di Ragioneria generale, sorprendendolo mentre inviava via WhatsApp le soluzioni ad alcuni studenti. La Guardia di Finanza ha sequestrato smartphone, notebook e agende del docente, che testimonierebbero diversi casi di “aiuti” per esami e test. Il professore, inoltre, scriveva su commissione le tesi di laurea per studenti del dipartimento di Economia dell’ateneo genovese. Per questo traffico, sono stati denunciati più di 20 studenti.
I software “anti-copioni” – Giri di esami truccati o compravendite di aiuti non sono una novità nel mondo universitario. Ma la didattica a distanza rende più difficile controllare che le prove vengano svolte in maniera corretta. Per ovviare al problema, alcune università italiane hanno usato per le sessioni online dei software di controllo della webcam degli studenti. Sistemi di questo tipo sono stati utilizzati per la scorsa sessione estiva nei principali atenei milanesi. Anche a Torino il rettore ha approvato a febbraio l’utilizzo del software “spia”, nonostante le proteste degli universitari.
Il giro dei disturbatori – Anche nelle scuole superiori ci sono ragazzi che trovano il modo di evitare verifiche e interrogazioni: sempre a Genova, il 23 marzo la polizia postale ha denunciato tre persone (due maggiorenni e un minorenne) che si introducevano nelle lezioni in Dad con l’obiettivo di farle saltare. I tre, delle province di Milano e di Messina, ma attivi su tutto il territorio nazionale, si organizzavano attraverso gruppi di Telegram e Instagram: lì gli studenti condividevano i codici per invitare i “disturbatori” nelle loro classi virtuali, in modo che potessero interromperle.