Il “caso Englaro” francese sembra essere arrivato a una svolta. Lunedì 20 maggio sono iniziate le procedure di interruzione delle cure per Vincent Lambert, il 42enne tetraplegico dal 2008 a causa dei danni cerebrali “irreversibili” riportati dopo un incidente stradale e divenuto simbolo del dibattito sul fine vita. All’ospedale di Reims, dove l’uomo è ricoverato, i medici hanno deciso di dar applicazione alla decisione del Consiglio di Stato, nonostante i contrasti all’interno della famiglia. I genitori, ferventi cattolici, si sono infatti sempre opposti con forza al blocco dell’assistenza a Vincent. «Lo stanno uccidendo, senza averci detto nulla, sono dei mostri», ha detto lunedì mattina la madre Viviane, aggiungendo di aver avuto la notizia solo «via email». Convinti a staccare la spina invece la moglie Rachel, sei dei suoi fratelli e sorelle e suo nipote, che denunciano l’accanimento terapeutico.
La storia – Lambert è un’ex infermiere psichiatrico. Dal 2014 la sua condizione è stata classificata come vegetativa. Già nel 2011 i medici avevano escluso qualsiasi tipo di miglioramento. Nei primi cinque anni dopo l’incidente è stato sottoposto a 80 sedute di logopedia, ma non è stato possibile stabilire con lui alcun codice di comunicazione. «Il suo corpo esprime delle emozioni, soprattutto la sofferenza, ma lui non ha coscienza del suo corpo», aveva spiegato Eric Kariger, all’epoca a capo del reparto di cure palliative dell’ospedale di Reims.

La signora Viviane, madre di Vincent Lambert (ANSA/AP Photo/Thibault Camus)
La battaglia nei tribunali – La famiglia, così come tutta la Francia, è divisa sul destino di Vincent. Tanto che la vicenda è finita più volte in tribunale. La prima a inizio 2013 quando l’équipe di Kariger aveva deciso di fermare la nutrizione artificiale in quanto accanimento terapeutico. La decisione era stata avvallata dalla moglie Rachel e da parte della famiglia, ma non dai genitori che si rivolsero al tribunale amministrativo di Chalons-en-Champagne e bloccarono il protocollo. A settembre 2013 venne avviata una seconda procedura, questa volta con il coinvolgimento dell’intera famiglia e di diversi esperti. La maggioranza si espresse a favore dello stop alle cure, ma ancora una volta i genitori fermarono l’iter con l’aiuto del tribunale. Nel 2014 la battaglia legale approda al Consiglio di Stato francese, ultimo grado per i ricorsi contro le decisioni prese dagli altri tribunali, che dà ragione alla moglie di Lambert. Così come succede nel 2015 alla Corte europea dei diritti dell’uomo a cui si appellarono i genitori.

Rachel, moglie di Vincent Lambert (ANSA/AP Photo/Thibault Camus)
Procedura d’urgenza – Gli stessi genitori che ora proveranno il tutto per tutto per ribaltare la decisione. I loro legali hanno annunciato una procedura «d’urgenza» per chiedere alla giustizia di fermare lo stop dei trattamenti. Uno degli avvocati, Jean Paillot, ha precisato a radio France Info che sono in attesa della data dell’udienza. Il medico di Lambert, Vincent Sanchez, con una lettera inviata ai media ha auspicato che «in questo momento doloroso, spero per Vincent Lambert che ognuno possa aprire una parentesi e unirsi intorno a lui, affinché questi momenti si svolgano nel modo più sereno, intimo e personale possibile». Anche Marine Le Pen si è espressa sul caso: «Vincent Lambert non sopravvive grazie a dei macchinari, viene unicamente nutrito ed idratato. L’idea che un giudice possa cessare questa idratazione e questa alimentazione pone domande, chiaramente – ha concluso la leader del Rassemblement National – È una decisione di giustizia che condanna alla morte, bisogna dire le cose come stanno».
L’eutanasia in Francia – In Francia il fine vita è regolato dalla legge Claeys-Leonetti. La norma si oppone fermamente all’eutanasia attiva, ovvero all’accompagnamento alla morte di una persona attraverso la somministrazione da parte del medico di un farmaco. Tuttavia, vieta l’accanimento terapeutico e dà la possibilità di esprimere le proprie volontà in anticipo, di interrompere le cure su richiesta del malato e di garantire a tutti l’accesso alle cure palliative. Se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, a seguito di una riflessione collegiale che coinvolga la famiglia e i medici la legge autorizza la sospensione del trattamento e la somministrazione di «dosi terapeutiche in grado di alleviare il dolore, anche se queste rischiano di abbreviare la vita». Una forma di eutanasia passiva in cui il medico si limita a spegnere le macchine e offre al paziente delle cure palliative. La precedente legge Leonetti è stata integrata nel 2016 con l’introduzione della sedazione profonda e continua: su richiesta del paziente di evitare sofferenze e di non subire una “ostinazione irragionevole”, può essere praticata una sedazione profonda e continua che provochi un’alterazione della coscienza mantenuta fino al decesso.