Social network, realtà aumentata, community: il digitale ha ormai investito anche il settore dei beni culturali. Il 57% dei musei italiani possiede un sito web dedicato, il 52% dispone di un account ufficiale sui social, con una presenza maggiore su Facebook (51%). Questi i dati emersi da uno studio condotto nel 2016 dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of Management del Politecnico di Milano su un campione composto da 476 musei. A fianco di questi ultimi ci sono poi delle realtà indipendenti che hanno deciso di sfruttare l’enorme potenziale di Internet per venire incontro alle esigenze degli utenti, per rendere più innovativa e dinamica la fruizione delle opere d’arte, per coinvolgere attivamente i “soggetti deboli”.

Turisti in fila al Cenacolo Vinciano

Quando offerta e domanda si incontrano – «All’inizio si trattava di un’esperienza che si affiancava al mio lavoro di insegnante di storia dell’arte a scuola. In seguito, vedendo che sempre più gente apprezzava quello che facevamo, abbiamo deciso di costruire qualcosa di più grande». Gabriella Ragozzino ricorda così i primi passi di Milanoguida, progetto nato nel 2009 dall’idea di un gruppo di giovani guide turistiche abilitate, mosse dalla volontà di far conoscere meglio il patrimonio artistico di Milano. Attualmente il profilo Facebook conta più di 45mila mi piace.
Il meccanismo è semplice: vengono offerte sul sito visite guidate a monumenti, mostre e musei, l’utente sceglie una data e si prenota. Si ha così la possibilità di essere accompagnati da un professionista, «ad un prezzo accessibile», aggiunge uno dei fondatori Francesco Riccobono; «il concetto è lo stesso della sharing economy: si formano gruppi eterogenei in cui ciascun visitatore condivide le spese con gli altri».
Nel corso del tempo attorno a Milanoguida si è formata una community dove gli utenti commentano e lasciano recensioni. «Spesso sono loro a proporre visite e a suggerire nuovi itinerari», dice Ragozzino. «I nostri clienti più affezionati? Sono proprio i milanesi».

Il logo di Project ARM

Tecnologie al servizio dei musei – Non chiamatela startup. Arm23 è ormai un’azienda affermata, con una squadra di 58 persone – l’età media si aggira intorno ai 28/30 anni – e cinque sedi fra Italia e Stati Uniti. Da settembre 2016 ha lanciato Project ARM, una piattaforma che attraverso la realtà aumentata permette al visitatore di accedere a una serie di informazioni, sotto forma di testo, audio e video, semplicemente puntando il telefono verso un’opera d’arte. L’utente ha inoltre a disposizione altri servizi tra cui connessione wi-fi e geo-localizzatore all’interno del museo, con la possibilità di personalizzare l’itinerario in base alle proprie preferenze.
«Siamo partiti da una constatazione», spiega Achille De Pasquale, direttore tecnico del progetto e co-fondatore di Arm23, «quasi tutti i visitatori hanno in mano uno smartphone. Con le nuove tecnologie le informazioni arrivano alla velocità della luce e l’audioguida è sentita sempre più come uno strumento lento, soprattutto dai giovani». Ecco che allora si pensa a soluzioni volte a coinvolgere il visitatore, facendogli vivere un’esperienza a tutto tondo. «Un altro filone al quale stiamo lavorando è quello della gamification, cioè rendere la visita un gioco di abilità», prosegue De Pasquale, «il target comunque è estremamente vario e ogni museo ha le sue esigenze specifiche». L’ostacolo principale rimane la burocrazia, «non solo in Italia, ma anche all’estero», ci assicura.

Mary Zurigo e Michele Porcu, fondatori di Alzhalarte

L’arte è (dis)uguale per tutti – È ancora in una fase iniziale invece Alzhalarte, progetto ideato nel 2016 da Mary Zurigo e Michele Porcu. L’iniziativa si rivolge alle persone colpite dall’Alzheimer o affette da altre forme di decadimento cognitivo e ai loro familiari. L’obiettivo è rendere accessibile le collezioni dei musei a queste categorie di persone e stimolarne la sfera emotiva e le capacità residue. Come? Facendole diventare protagoniste di un atto creativo. «I laboratori che organizziamo con i malati e gli accompagnatori ruotano attorno al concetto di art assignment», racconta Zurigo. «Con l’aiuto di un artista o un designer vengono date indicazioni per svolgere dei compiti partendo dal confronto con le opere d’arte presenti nei musei». Compiti che in un secondo momento possono essere svolti a casa insieme ai familiari. Grazie a una piattaforma digitale l’esercizio viene poi condiviso con gli altri partecipanti: si entra dunque a far parte di una comunità dove elementi essenziali sono il dialogo e l’arricchimento reciproco. «L’arte, oltre ad essere una forma di evasione, è un’esperienza soggettiva, unica», sottolinea Zurigo. «Anche queste persone sono portatrici di senso, di valore: noi non facciamo altro che dare la possibilità di esprimere la loro interpretazione di un’opera d’arte».