Code per l’aperitivo. Code per entrare in un negozio a vedere una maglietta. Code virtuali per prenotare il parrucchiere che si è organizzato con gli appuntamenti sul sito. Mentre il numero dei nuovi contagi continua per fortuna a calare, la ricerca di normalità nella fase 2 “bis” di gestione della pandemia da coronavirus, quella cominciata il 18 maggio, passa per una quantità di gesti anormali. Le strade sono piene, ma i negozi quasi vuoti: si entra pochi, anche uno per volta. E chi lo fa cerca di comprare e spendere di meno. È una ripartenza mutilata che le associazioni di categoria stanno già provando a stimare: «Ancora nessun dato preciso, ma dalle prime telefonate che abbiamo fatto registriamo vendite largamente sotto la media», fanno sapere da Confesercenti. Sono circa 800 mila le imprese che possono riaprire, ma solo 6 su 10 lo hanno fatto realmente (circa 480 mila), spiega un sondaggio di Swg per Confesercenti. Delle restanti, tre hanno già deciso che resteranno chiuse, una dichiara invece di dover ancora attendere per quantificare affitti, costi del personale e spese di sanificazione: bisogna capire se ne vale la pena.

Quanto si è perso – Gli orari di apertura dei negozi sono stati dilatati per evitare una concentrazione di pubblico: ci saranno più ore settimanali da coprire, è vero, ma nessuno può permettersi nuove assunzioni. Anzi, le perdite imporrebbero logicamente dei tagli. Nel mese di aprile, rispetto allo stesso periodo del 2019, i consumi sono calati del 47,6%: gli italiani in media hanno speso la metà dell’anno scorso. Sono i dati dell’ufficio studi Confcommercio. Rispetto ai due mesi di lockdown totale, il rimbalzo del Pil che ci si aspetta a tutto maggio è ancora modesto: 10,5%. Facile comprendere le ragioni degli esercenti che non vogliono riaprire, intervistati da Swg: il 70% non pensa che sia economicamente conveniente, gli altri si dividono tra chi ancora sta riorganizzando il negozio per seguire le nuove norme e chi ha «timori per il contagio». Ma anche tra quelli che hanno riaperto, un terzo teme che sarà costretto a chiudere, e oltre il 40% crede che dipenda dalla durata delle restrizioni. Al momento non sembrano possibili sconti sul distanziamento sociale.

Chi perde di più – La categoria più colpita rimane quella dei “servizi ricreativi”, tutte le attività che non possono svolgersi senza la dinamica dell’assembramento: cinema, sport, spettacoli. Meno 98%, dicono le rilevazioni del 18 maggio di Confcommercio. Un primato nella crisi che probabilmente continuerà, vista la difficoltà di riaprire. La “prima” fase 2 non ha aiutato nemmeno alberghi, bar e ristoranti, sotto del 92,6%, né l’abbigliamento (-89%). Non è difficile immaginare che continuino le perdite del settore automobilistico (-97,8%), nonostante le concessionarie non siano abitualmente luoghi affollati. Lunghe le code, e piene di gente, fuori da Ikea in tutta Italia: il settore per la casa ha perso più del 94%, è fra i più colpiti ma sembra anche quello che calamita di più l’attenzione in questi prmi giorni di allentamento dei vincoli.

Il bollettino odierno – Oggi in Italia sono state segnalate dalla Protezione civile 813 persone positive al nuovo coronavirus, di cui 462 in Lombardia. Il numero di positivi dall’inizio dell’epidemia nel nostro Paese è 226.699. Ci sono stati 162 decessi, quindi in totale 32.169 da quando è cominciato il contagio. I pazienti ricoverati in terapia intensiva con Covid-19 sono 716, di cui 244 in Lombardia.