Il giudizio finale per il “Celeste” è arrivato. Ieri, 21 febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha condannato a 5 anni e 10 mesi Roberto Formigoni, governatore della Lombardia dal 1995 al 2013. Per lui si sono aperte le porte del carcere di Bollate e potrebbe non beneficiare della detenzione agli arresti domiciliari prevista per gli ultra-settantenni a causa della recente legge “spazzacorrotti” (per i reati contro la pubblica amministrazione).
La sentenza – L’ultimo grado di giudizio sui rapporti illeciti tra sanità e amministrazione pubblica in Lombardia si è tenuta davanti alla sesta sezione penale della Corte di Cassazione di Milano. Alle 20.50 la Corte ha emesso la sentenza di condanna dell’ex governatore della Lombardia a 5 anni e 10 mesi di carcere: pena ridotta rispetto alla richiesta della procura di conferma della sentenza d’appello (7 anni e mezzo). Imputato per corruzione ai danni della pubblica amministrazione, Formigoni quasi sicuramente dovrà scontare la pena in carcere e non agli arresti domiciliari, nonostante i suoi 71 anni. Questo quanto previsto dalla legge anticorruzione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2019 – definita “legge spazzacorrotti” – che non consente pene alternative al carcere per i condannati per reati contro la pubblica amministrazione. La difesa proverà a richiedere gli arresti domiciliari, in virtù del fatto che la legge è successiva ai reati contestati e quindi non può avere efficacia retroattiva. La procura generale di Milano non sembra però disposta ad accogliere la richiesta.
Le reazioni – Da Forza Italia – schieramento politico con cui aveva governato la Regione Lombardia – arrivano le manifestazioni di solidarietà. Per il leader Silvio Berlusconi «Formigoni è stato il miglior governatore in assoluto di tutte le regioni italiane», mentre Mariastella Gelmini esprime dolore per il fatto che «una persona che ha ricoperto un ruolo importante per tutti noi oggi si trovi in carcere». Nell’universo di Comunione Liberazione, movimento cattolico laico fondato da don Luigi Giussani di cui Roberto Formigoni è stato un esponente di primo piano, si sono creati gruppi di preghiera per il “Celeste”, dopo quelli dei giorni scorsi radunati al santuario di Caravaggio.
Sul fronte 5 Stelle c’è invece soddisfazione per la prima testa caduta sotto la scure della “legge spazzacorrotti”: «Oggi mentre gli italiani ci hanno mandato al governo del Paese, Formigoni andrà in carcere per corruzione», così ha commentato il sottosegretario agli Affari Regionali, Stefano Buffagni.
L’inchiesta sanità privata – L’inchiesta sul sistema di corruzione nella sanità lombarda prese origine nel 2010 dal suicidio di Mario Cal, vice direttore dell’ospedale privato San Raffaele (Milano), e dalla scoperta della bancarotta dell’ente religioso. Dalle indagini gli inquirenti scoprirono un giro di mazzette per decine di migliaia di euro finite nelle tasche dell’imprenditore Pierangelo Daccò e dell’ex assessore regionale Antonio Simone. I due indagati erano legati all’allora presidente della Regione, Roberto Formigoni, da una ferrea militanza in Comunione e Liberazione.
Nella seconda parte dell’inchiesta, nel 2011 venne fatta luce sulle società estere off-shore – in particolare sulla Iuvans Internetional con sede a Lugano – dei due indagati. Sul conto della società risultavano circa 70 milioni di euro versati dagli amministratori del San Raffaele – 9 milioni in buste di contanti – e della Fondazione Maugeri (Pavia), altro ente operante nel settore della sanità privata – 61 milioni con versamenti tramite bonifico. Questi soldi costituivano il cuore del sistema di tangenti pagate dalla Maugeri e dal San Raffaele per garantirsi il rimborso per prestazioni sanitarie (mai eseguite) previsto da una legge regionale del 2007 (sponsorizzata proprio dallo stesso ex assessore Simone). Soldi necessari, secondo l’accusa, a ottenere rimborsi illeciti per centinaia di milioni – 200 solo alla Maugeri – gonfiando le tasche dei due intermediari ciellini, uomini potenti dentro e fuori il movimento.
Lo scandalo Formigoni – Il presunto coinvolgimento dell’ex governatore della Lombardia ha scoperchiato un sistema che avrebbe coinvolto le alte sfere del potere regionale nello scandalo sulla sanità privata. Con una parte dei 70 milioni di presunte tangenti, Daccò e Simone avrebbero garantito a Formigoni benefit di lusso (vacanze, uso di yacht, cene in occasione del Meeting di Rimini di CL) per un valore pari a circa 7 milioni di euro. Formigoni si è sempre giustificato affermando che la sua unica colpa è «quella di aver avuto amici danarosi», come ha recentemente dichiarato in un’intervista a Panorama.
A Formigoni è stata sequestrata una villa in Sardegna, in Costa Smeralda, anche quella ricevuta in dono dall’amico Daccò: una parte intestata a Formigoni stesso, un’altra all’imprenditore brianzolo Alberto Perego, amico intimo del Celeste fra i Memores Domini, il grado più alto di spiritualità ciellina di apostolato nel mondo del lavoro cui i membri sarebbero tenuti a vivere in povertà, castità e obbedienza, sotto l’egida di Cl. Una villa il cui acquisto, questa la tesi accusatoria, sarebbe servito a riciclare una parte del denaro sporco di Daccò e Simone, con il benestare dell’ex governatore che ne riceveva, quindi, consistenti benefici.
Un altro giallo mai risolto è quello relativo al banchiere di fiducia di Formigoni, Francesco Rota, direttore della Banca Popolare di Sondrio, che nel 2013 testimoniò che proprio nell’ufficio del governatore riceveva soldi in contanti per nascondere l’effettiva disponibilità di denaro sul conto del “Celeste”. Un filone di indagine che non ha ancora portato a condanne, ma che potrebbe rispuntare nella sentenza della Cassazione come aggravante al reato di corruzione.