Ogni anno, da quel 20 luglio 2001, tra le strade di Genova uno dei luoghi simbolo cambia nome: “piazza Gaetano Alimonda” lascia il posto a “piazza Carlo Giuliani, ragazzo”. A volte con un pennarello nero, altre con uno blu, ma l’orario in cui qualcuno si arrampica per scrivere quel nome è sempre lo stesso: 17:27. Non un minuto di più perché sarebbe troppo tardi per far rivivere il ricordo di Carlo, non un minuto di meno perché respirava ancora. Da 20 anni, ormai, centinaia di giovani si ritrovano nel capoluogo ligure per ricordare quel “ragazzo”. Uno di loro, uno di noi. Una persona qualunque, con i suoi difetti e i suoi pregi, i suoi sogni e i suoi incubi. Un ragazzo che, forte della sua giovinezza, tutto si aspettava tranne che morire quel giorno.
Piazza Alimonda – Sin dalle prime ore successive all’accertamento della morte di Carlo, i suoi genitori, Giuliano Giuliani e Adelaide “Haidi” Cristina Gaggio, avevano deciso di raccontare chi era il loro figlio affinché si facesse chiarezza su come e perché abbia perso la vita. «Era un ragazzo che non tollerava le ingiustizie», disse la sera del 21 luglio al Tg3 il padre. I video che avevano ripreso per intero quelle scene venivano trasmessi dai telegiornali di tutto il Paese in ogni fascia oraria e sono ancora disponibili online. Si possono contare oltre 300 ore di filmati e 15mila fotografie di quei giorni. Tra il 19 e il 22 luglio il capoluogo ligure ospitava il 27° G8, la riunione degi capi di stato e di governo degli otto Paesi più ricchi del mondo, ma i documenti più importanti riguardano le scene di guerriglia: migliaia di manifestanti scesi in strada a protestare poi caricati da squadre di polizia ne carabinieri, lanci di pietre, gas lacrimogeni, gente comune e uomini in divisa che brandiscono mazze di ferro e di legno. In alcuni di questi video si può vedere il giovane Giuliani aggirarsi per le vie di Genova vestito con una canottiera bianca. Altri, invece, mostrano quel ragazzo con indosso un passamontagna blu raccogliere da terra un estintore e dirigersi verso una camionetta dei carabinieri. L’auto, una Land Rover Defender, bloccata da un cassonetto della spazzatura che gli impedisce la fuga è presa d’assalto da un gruppo di manifestanti. Rimasti soli, nel veicolo, ci sono i carabinieri Mario Placanica e Dario Raffone e l’autista Flavio Cavataio. È il primo, che all’epoca aveva 21 anni ed era al suo sesto mese di servizio, a estrarre la pistola ed esplodere due colpi: uno prende in testa Carlo, l’altro venne ritrovato mesi dopo sulla facciata di un palazzo. Il secondo era salito a bordo perché non si sentiva bene e il terzo, invece, una volta dispersa la folla che li stava prendendo d’assedio fa retromarcia e si dirige verso uno dei vicoli che portano fuori piazza Alimonda (punto 19 sulla mappa). Entrambe le volte passando sopra il corpo di Carlo.
Il Corteo dei Disobbedienti – Sono trascorsi due decenni dai fatti di piazza Alimonda, ma alcune domande restano ancora senza risposta. Una di queste, secondo molte delle persone che erano presenti quel giorno, non ha ricevuto la giusta attenzione né da parte dell’opinione pubblica né da chi svolse le indagini sulla morta di Carlo. Come testimoniato dai racconti dei suoi amici, il 23enne nato a Roma il 14 marzo 1978 non faceva parte del Genoa Social Forum (Gsf): una rete di movimenti e associazioni nata nei mesi precedenti al G8 riuniti in un’ottica antiglobalizzazione (no-global) con portavoce Vittorio Agnoletto. Il giovane Giuliani aveva partecipato solo in modo superficiale agli incontri organizzati in quei giorni dal Gsf, come il concerto in piazzale Kennedy di Manu Chao e dei 99 Posse. In adolescenza aveva avuto problemi legati al consumo di droghe. Aveva seguito un programma di riabilitazione al SerT, il servizio per le tossicodipendenze, e circa due settimane prima di quel 20 luglio era diventato volontario di Anlaids (associazione nazionale per la lotta contro l’Aids). Come dimostrato dal suo abbigliamento, Carlo non aveva intenzione di partecipare a quel corteo ma, anzi, era pronto ad andare al mare. «Probabilmente sente i rumori di via Tolemaide», prova a spiegare la madre Adelaide Gaggio a Francesca Comencini, la regista del film Carlo Giuliani, ragazzo. Erano le prime ore del pomeriggio quando il Corteo dei Disobbedienti percorreva quella strada. La manifestazione era stata autorizzata dalle autorità giorni prima e le Tute Bianche, ovvero i giovani lavoratori precari o disoccupati che la componevano, stavano rispettando il tragitto che gli era stato indicato: l’intera via Tolemaide (punto 8) fino alla piazza delle Americhe (14). Ecco la domanda: se era stato tutto approvato dalla questura, perché il corteo venne caricato dai carabinieri?
Tra pacifisti e black bloc – Come in ogni evento di protesta successivo a quello di Seattle del 1999, non mancavano gruppi di black bloc, il blocco nero: gruppi di persone mascherate e interamente vestite di nero, non riconoscibili, che si distinguevano dagli altri manifestanti per atti di vandalismo contro negozi e banche, simboli, secondo loro, dell’eccessiva globalizzazione (per esempio la catena Mc Donald’s). Una delle perplessità più grandi di chi ha analizzato quei giorni genovesi sta nel fatto che in giro per la città dei piccoli gruppi di black bloc erano stati lasciati liberi di danneggiare tutto ciò che incontravano, mentre le Tute Bianche, pacifiche fino al momento della carica dei caabinieri, vennero caricate a sorpresa su un fianco del corteo. Da questo episodio prese il via tutta la catena di avvenimenti, di azioni e reazioni, che portò il carabiniere Placanica a sparare quei due colpi. La tensione tra le due parti cresceva a ogni pietra lanciata: una pioggia di cubettti di porfido così fitta da costringere i carabinieri alla fuga. I militari erano appoggiati da due Defender, ma le vie strette e piene di gente bloccavano il passaggio ai veicoli Solo una riuscì a farsi largo e a raggiungere il reparto in ritirata, lasciando l’altra in balia di giovani arrabbiati dopo le cariche delle forze dell’ordine
Le prime indagini – L’epilogo ormai è noto: Placanica spara, Giuliani muore sul colpo. Tuttavia, anche su questo punto, all’apparenza il più indiscutibile, non mancano controversie, dubbi e perplessità. Era Marco Salvi il medico legale della procura di Genova che il 21 luglio fece l’autopsia. Rilevò che la traiettoria dello sparo che aveva attraversato il volto di Carlo era diretta. Questo avrebbe dovuto far cadere l’ipotesi, che rimane quella accreditata dalla magistratura, secondo la quale il proiettile esploso da Placanica si sarebbe scontrato contro un sasso prima di uccidere. Tuttavia la questione rimase aperta perché il foro nel cranio era più piccolo rispetto a quello che avrebbe dovuto provocare una normale pistola d’ordinanza. Gli avvocati della famiglia Giuliani e gli attivisti del sito piazzacarlogiuliani.it avanzarono un’altra teoria ancora secondo la quale Placanica aveva utilizzato proiettili non previsti dal regolamento e perciò illegali. Un altro punto di discussione riguarda una ferita dalla forma “a stella” sulla fronte della vittima. Questa fece ipotizzare che Carlo fosse stato colpito da un sasso lanciato dai manifestanti durante l’assalto alla camionetta. Ma l’ipotesi cozza con la presenza del passamontagna: al momento dell’arrivo dei soccorsi in piazza Alimonda il volto del ragazzo era coperto e su quella stoffa blu non c’era alcun segno. A sottolineare la stranezza del fatto fu lo stesso Placanica che nel 2006 in un’intervista al quotidiano Calabria Ora disse: «Ci sono delle cose che non sono chiare. Perché alcuni militari hanno “lavorato” sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?».
Una tragica fatalità – Il carabiniere che sparò quei due colpi fu definito dalla famiglia di Carlo “la seconda vittima” del G8 di Genova. Una vittima civile che negli anni ha subìto attacchi tanto dai suoi colleghi nelle forze dell’ordine e che dai movimenti antagonisti. Placanica stesso, all’agenzia Agi che lo ha intervistato in occasione del ventennale, dice di essere «morto da quel giorno come Giuliani». Il 5 maggio 2003 la Giudice per le inchieste preliminari Elena Daloiso archiviò il caso: Placanica sparò per legittima difesa. La stessa Daloiso in una lettera inviata al giornalista Marco Damilano, poi pubblicata nel numero de L’Espresso del 18 luglio 2021, ribadisce che si trattò di una «tragica fatalità»: il proiettile fu deviato da un sasso prima di colpire Carlo.
Non si è mai tenuto un processo. Non si sono mai arresi, però, né i Giuliani né tantomeno Placanica. Il carabiniere venne chiamato a deporre nel 2005, senza però fornire nuovi elementi alle indagini. Nel 2007, invece, parlò di come il capitano Cappello, uno degli ufficiali incaricati del coordinamento della sicurezza nel capoluogo ligure, durante uno dergli scontri che precedettero la sparatoria gli prese «dalle mani il lanciagranate» per poi iniziare a sparare. Lui si sentì male e per questo lo fecero salire sulla camionetta. L’anno successivo, poi, ha sporto denuncia contro ignoti: Placanica era convinto di usare i soliti proiettili che gli erano stati dati in dotazione, ma i resti rinvenuti nel cranio della vittima non erano compatibili con i resti tipici della loro camiciatura. La famiglia di Carlo si batte ancora oggi affinché si tenga un processo, un dibattito che forse potrebbe far venire alla luce una soluzione, una verità.