“Incubo di una notte di metà inverno”: potremmo rilanciare all’italiana la provocazione in copertina di The Economist, “Britain’s nightmare before Christmas”. Un Paese diviso. Una campagna elettorale violenta. Elezioni che sembrano un nuovo referendum su Brexit. Con questi tre ingredienti il Regno Unito si appresta a vivere il suo giorno della verità, il 12 dicembre, che decide non solo la terza composizione della House of Commons negli ultimi quattro anni, ma soprattutto quale indirizzo dare all’uscita (o meno) dall’Unione Europea, dopo la nuova proroga concessa fino al 31 gennaio 2020.

Nella copertina di The Economist: l’incubo britannico che precede il Natale ha la forma di quattro pupazzi di neve (più uno). Il laburista Jeremy Corbyn (sciarpa rossa), la libdem Jo Swinson (sciarpa gialla), la scozzese Nicola Sturgeon (sciarpa con la croce di Sant’Andrea), il conservatore Boris Johnson (con la sciarpa azzurra) e ai suoi piedi la “testa di neve” del brexiter Nigel Farage

 

La divisione del Regno Unito sui risultati del referendum su Brexit (23 giugno 2016)

Nel nome di Brexit – La divisione nel Paese non è mai stata così estrema dopo la polarizzazione politica causata da Brexit. Sono state proprio le tensioni legate alla modalità di uscita dall’Unione a determinare le elezioni anticipate: «Siamo stati paralizzati da un Parlamento in frantumi», ha dichiarato il premier Boris Johnson al Daily Telegraph. «Nessun primo ministro avrebbe voluto tenere un’elezione a dicembre, ma soltanto dopo aver completato Brexit ci si potrà concentrare di nuovo sulle priorità del popolo britannico». Per il Conservative Party, quindi, il voto di giovedì 12 dicembre è tutto un’ipoteca sulla realizzazione di Brexit, che questa volta, promettono i Tory,  sarà il più hard possibile per «difendere gli interessi della nazione». Al contrario, tra il Labour Party, i Liberal Democrats e lo Scottish National Party potrebbe nascere una grande coalizione post-voto sulla base comune della rinegoziazione dei termini dell’uscita dall’Unione, se non addirittura di un nuovo referendum.

Risultati delle elezioni del 2017 (fonte: BBC.com)

Il sistema elettorale – First-past-the-post. È definito così sistema elettorale britannico, che tende a dare una maggioranza forte nella Camera dei Comuni a un solo partito (è una monarchia parlamentare, quindi non si elegge il premier, ma nemmeno la House of Lords). Il Regno Unito è diviso in 650 collegi, dove ogni partito può candidare una sola persona: ogni collegio elegge un solo candidato, quello che ha ottenuto più voti, senza soglie minime di voti. È un sistema maggioritario che può creare però netti sbilanciamenti rispetto alla distribuzione del voto popolare e, soprattutto, con la terza elezione in quattro anni si è dimostrato ben lontano dall’essere un sistema perfetto.

 

«Portiamo a termine Brexit» (Boris Johnson)

Tory favoriti – Boris Johnson, il leader subentrato a Theresa May, sembrava una macchina da guerra perfetta per i Conservatori. La strategia del premier è stata quella di spingere per elezioni anticipate per cercare maggiore fortuna alle urne e garantire più deputati alla nuova maggioranza: cioè meno instabilità per traghettare il Regno Unito fuori dalla tanto odiata Unione Europea. Sembrava, appunto. Perché se dopo lo scioglimento delle Camere i Tory pensavano di poter condurre una campagna elettorale agevole e dalla vittoria ampia e scontata, un mese dopo si ritrovano – secondo le ultime proiezioni pubblicate dal The Guardian – con un margine tra i 6 e i 9 punti percentuali di vantaggio sui Labour (42/43% contro 34/36%). Due fattori potrebbero portare nella cassaforte dei conservatori gli agognati 9 seggi in più per avere una maggioranza stabile. Il tactical vote suggerito da Nigel Farage (leader del Brexit Party) nei collegi già in mano ai Conservatori per non disperdere il voto dei pro-leave. E una spregiudicata campagna elettorale messa in piedi dal Britain’s Donald Trump, molto improntata alla lotta contro l’immigrazione europea nell’isola: la parodia del film Love Actually è una chiara provocazione alla posizione pro-remain dell’attore Hugh Grant, che in quel film interpretava il primo ministro inglese.

 

«La scelta è se volete sperare e investire nel futuro o seguire la strada del mercato deregolamentato dei Tories?» (Jeremy Corbyn)

Rimonta Labour – I primi contender dei Tory sono senza ombra di dubbio i Laburisti, favoriti più che altro dalla prima vera crisi nella storia britannica che giustifichi con così tanta forza il voto utile anche a favore della sinistra. Il leader Jeremy Corbyn, in realtà, non sembra aver condotto la sua battaglia anti-Brexit nella maniera più irreprensibile che si ricordi: la recente posizione a favore di un futuro nuovo referendum popolare non può cancellare i tentennamenti fin qui mostrati dal suo partito nel prendere una posizione ufficiale sulla questione (soprattutto per paura di perdere consensi nelle roccaforti dove è montata la rabbia anti-europea). Anche le accuse di aver alimentato le derive antisemite nella sinistra laburista non hanno portato molta acqua al suo mulino: 24 figure pubbliche, tra cui lo storico Antony Beevor e lo scrittore John le Carré, hanno annunciato che non voteranno Labour proprio per questa ragione. Nonostante queste difficoltà di percorso, per la sinistra la partita è ancora ampiamente aperta. In primo luogo è tornata forte la proposta di un maggiore intervento statale nei prelievi fiscali alle fasce più abbienti e ai grandi gruppi industriali. Ma soprattutto l’idea di una coalizione post-12 dicembre con i liberal democratici, gli scozzesi e i verdi (insieme a tutta la galassia di piccoli partiti anti-Brexit) basata su un accordo pro-remain spinge sicuramente a favore del più grosso sfidante dei conservatori alla guida della nazione. Non è un caso se The Telegraph ha analizzato come il tactical vote potrebbe portare le chiavi del numero 10 di Downing Street nelle mani di Corbyn. Anche grazie a una dei pochi – ma decisivi – fattori della sua rimonta: il successo sul web.

You'll want to see this one through to the end.

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Pubblicato da Jeremy Corbyn su Mercoledì 4 dicembre 2019

 

«Votateci per fermare l’uscita del Regno dall’Unione» (Jo Swinson)

LibDem al bivio e scozzesi alla finestra – E poi ci sono gli underdog, gli sfidanti che partono sfavoriti ma che potrebbero ribaltare ogni pronostico. L’arduo compito, in questo caso, è affidato a due donne: Jo Swinson per i Liberal Democrats e Nicola Sturgeon per lo Scottish National Party.
I LibDem affrontano una situazione più complessa di quanto gli stessi supporter potessero immaginare. Se inizialmente l’idea dominante era «Stop Brexit», che dava loro una certa riconoscibilità e credibilità per la forza di opposizione all’uscita dall’Unione, alla vigilia delle elezioni si trovano schiacciati in mezzo alle due forze dominanti dello scacchiere britannico: chi vota anti-Labour propende per i Tory, chi vota anti-Brexit predilige i Labour. Chi non beneficerà certo del tactical vote sono proprio loro, i candidati guidati dalla 39enne scozzese Swinson. I sondaggi danno i LibDem al 12%.

«Boris Johnson è il più grande pericolo per la Scozia di qualsiasi altro primo ministro dei tempi moderni» (Nicola Sturgeon)

Infine gli Scozzesi. L’Snp guidato dal primo ministro Sturgeon (49enne di Irvine) è pronto a rafforzarsi rispetto alle elezioni di due anni fa (35 seggi) e tornare ai livelli del 2015 (56 su 59 conquistabili in Scozia): anche solo un seggio in più farebbe scattare non solo la richiesta di un nuovo referendum su Brexit, ma anche un secondo sull’indipendenza scozzese. L’SNP è il terzo partito nella House of Commons, spinto dal sistema elettorale che favorisce i candidati che hanno una forte presa sul territorio. Inutile sottolineare quanto questa sia una prerogativa che da Glasgow arriva fino alle Highlands. La base comune pro-remain con il Labour Party di Corbyn potrebbe unire le istanze di medio-lungo termine (indipendenza) a quelle sul breve (rimanere nell’Unione Europea).