Alla fine il Congresso americano si è espresso. Verso le 4 del mattino (ora locale), al termine di una seduta a camere riunite ripresa alle 20, Joe Biden e Kamala Harris sono stati proclamati presidente e vicepresidente degli Stati Uniti. Dopo un lungo dibattito per certificare i voti del collegio elettorale, i democratici si sono imposti con una maggioranza di 306 voti, superando i 232 della fazione opposta. Il Campidoglio ha inoltre respinto tutte le contestazioni dei repubblicani per la seduta interrotta il giorno precedente. L’assalto a Capitol Hill da parte di migliaia di supporters trumpiani, che ha lasciato sul terreno quattro vittime e una scia di devastazioni, aveva costretto Camera e Senato a sospendere i lavori ed evacuare l’intero edificio, tenendo il mondo inchiodato davanti alla televisione per tutta la notte tra il 6 e il 7 gennaio.

Il ripensamento – «Non sono d’accordo, ma ci sarà una transizione ordinata»: la dichiarazione ufficiale del presidente uscente Donald Trump è arrivata dopo l’annuncio della vittoria del suo avversario. Una frase che dovrebbe sedare gli animi dei suoi più fedeli elettori. Nonostante la difficoltà ad accettare il responso, il suo tono appare più diplomatico e totalmente diverso da quello utilizzato quasi 24 ore prima, quando dalla Casa Bianca, di fronte a centinaia di sostenitori, aveva lanciato l’ennesima minaccia contro il Congresso: «Non concederemo mai la vittoria a Biden, i repubblicani che la certificheranno sono deboli e patetici». Una critica al vetriolo, che di lì a poco avrebbe spinto gruppi di esagitati repubblicani a rompere i cordoni di sicurezza posti dinanzi all’organo legislativo di Washington. Guidati da Jake Angeli, un italo-americano vestito da sciamano, i rivoltosi sono penetrati nei corridoi, scandendo a squarciagola gli slogan di protesta: «Lottiamo per Trump» e «Fermiamo il furto».

Invasione – Alcuni hanno perfino fatto irruzione nell’ufficio privato della speaker della camera, Nancy Pelosi: stravaccati sulle poltrone, con i piedi sulle scrivanie, hanno scattato qualche foto e, prima di andarsene, hanno lasciato un biglietto sulla scrivania della presidente della Camera con su scritto “non ci tireremo indietro“. Le forze di sicurezza sono entrate in azione poco dopo le 17 (ora locale), sparando lacrimogeni per disperdere le frange estremiste e difendere i parlamentari. La CNN, durante la diretta televisiva, ha denunciato la presenza tra i protestanti di individui in possesso di armi da fuoco. Questo spiegherebbe la sparatoria avvenuta all’interno della struttura, in cui ha perso la vita una donna. Nel corso dei tafferugli con gli agenti di polizia e dell’intervento della Guardia Nazionale, il tycoon è intervenuto con un video messaggio su Twitter: «Non dobbiamo fare il gioco di queste persone. Dobbiamo avere la pace, andate a casa, vi amo, siete speciali, so come vi sentite, ma andate a casa, andate a casa in pace».

Parola presidenziale  “Le migliori parole di un presidente possono ispirare, le peggiori possono incitare”. Il biasimo di Joe Biden è arrivato alla fine di un episodio senza precedenti. La storia americana ha visto succedersi 46 presidenti e, nell’ambito della politica statunitense, l’oratoria ha sempre svolto un ruolo determinante. Secondo lo storico e diplomatico Sergio Romano, raggiunto questa mattina dall’HuffigtonPost, la memoria storica d’oltremare, segnata da una sanguinosa guerra civile, avrebbe dovuto prevenire un simile evento, ma così non è stato. Ciò che è accaduto ieri ha scioccato il mondo intero. Oltretutto, non è sfuggito all’opinione pubblica l’intervento finale di Donald Trump, troppo indulgente nei confronti della violenza fisica e verbale perpetrata dai manifestanti ai danni di un luogo simbolo della democrazia americana.

Le ipotesi – Non è tutto: stando a una scoperta fatta dal New York Times, sembra sia stato in realtà il vicepresidente Mike Pence ad autorizzare la mobilitazione della Guardia Nazionale a Washington. Se confermata, questa notizia testimonierebbe la progressiva perdita di potere del presidente attualmente in carica, dando voce alle ipotesi di una sua rimozione anticipata. Come se non bastasse, l’indignazione per quello che passerà come l’ “assalto a Capitol Hill” ha spinto alcuni membri dell’amministrazione uscente a dimettersi e un definitivo isolamento creerebbe le condizioni per le dimissioni di Trump. In alternativa, il vicepresidente e una maggioranza del gabinetto di governo potrebbero far ricorso al 25esimo emendamento per dimostrare che il magnate non è in grado di «espletare i poteri e doveri del suo ufficio». In aggiunta alle precedenti, si fa sempre più concreta un’altra strada risolutiva: l’impeachment accelerato. Nel giro di poche ore, la Camera potrebbe votare incriminazioni e il Senato mettere su un processo, con l’accusa di istigazione all’assedio violento del Congresso e agli attacchi alle elezioni.

Stato di emergenza – Intanto, nella capitale la tensione è ancora alta. Ripristinato l’ordine, il bilancio risulta drammatico: 4 morti, 13 feriti e 52 arresti. Delle quattro vittime, tre sono decedute per emergenze mediche. Solo una, una donna pro Trump e veterana dell’aeronautica, è stata colpita al petto dal proiettile di un agente. Inoltre, l’Fbi ha individuato e disinnescato due ordigni esplosivi nei pressi dei quartieri generali del partito repubblicano e democratico. Per questo motivo, il sindaco di Washington Muriel Bowser ha deciso di prolungare l’emergenza pubblica per 15 giorni: fino al 21 gennaio, il giorno successivo al giuramento di Joe Biden. Resta in vigore anche il coprifuoco, a partire dalle 18.