In Venezuela ci sono due presidenti. Il 23 gennaio il giovane leader dell’opposizione Juan Guaidó si è autoproclamato presidente ad interim davanti a una folla in estasi, esautorando l’attuale presidente Nicolás Maduro. A Caracas, da un palco davanti al palazzo di governo, Guaidó si è appellato a un emendamento costituzionale che consente al capo della legislatura di formare un governo provvisorio fino a nuove elezioni. Oltre a provocare la carica della polizia sui manifestanti anti-Maduro, che ha portato il conteggio dei morti di questi giorni a 16 e gli arresti a quasi trecento, il gesto del 35enne già alla guida dell’Assemblea Nazionale ha spinto i capi di Stato di tutto il mondo a schierarsi con lui o con il presidente Maduro.

Schieramenti – Poco dopo l’accaduto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è espresso a favore di Guaidó riconoscendogli il ruolo di presidente. La dichiarazione ufficiale della Casa Bianca, accompagnata da una forte critica al governo Maduro, ha innescato una catena di interventi che ha molto a che fare con gli equilibri internazionali e meno con il destino del paese. Contro le posizioni americane si sono subito espressi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, memore della recentissima minaccia di Trump di «devastare l’economia turca» in caso di un attacco agli alleati curdi, e il presidente russo Vladimir Putin. Mentre il primo ha chiamato Maduro «fratello», ricordandogli che «la Turchia è con lui» (anche con l’hashtag #WeAreMaduro), l’altro ha espresso forte disapprovazione per l’ingerenza americana. Accanto alla Russia e alla Turchia, anche il presidente siriano Assad ha dichiarato il proprio supporto al presidente venezuelano incaricato, mentre la Cina si è tenuta su posizioni più neutrali esortando a non intervenire nel paese.

Guerra fredda – Insieme agli Stati Uniti si sono schierati a fianco di Guaidó molti governi sudamericani di destra e centro-destra (per dirne tre: Brasile, Colombia e Argentina), l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) e il Canada. L’Unione Europea ha lanciato un appello alle autorità venezuelane in difesa di un popolo che «ha chiesto la democrazia e la possibilità di determinare liberamente il proprio destino», chiedendo che non venga ignorato, ma non si è spinta a riconoscere il nuovo presidente ad interim (nonostante le esortazioni del presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk). In quella che sembra una vecchia replica dei blocchi post-bellici, i leader occidentali hanno risposto all’appello di Trump a favore della «democrazia» in contrapposizione al nucleo russo-turco e ai governi di sinistra mesoamericani e sudamericani. A favore del 56enne erede di Hugo Chavez si sono espressi la Bolivia di Morales, il Messico di Obrador e la Cuba di Diaz-Canel.

Il Venezuela ora – Le manifestazioni contro Maduro e il supporto a Guaidó non sono che gli ultimi tentativi di rinascita di un paese allo stremo. Dopo aver subito un picco del tasso di inflazione al 10 milioni per cento, l’emigrazione di oltre 3 milioni di persone e la mancanza dei più elementari beni di sopravvivenza, il Venezuela si trova nella delicata posizione di avere due leader ma nessuna certezza. Maduro, rieletto al secondo mandato da due settimane (tra accuse di broglio elettorale), ha rotto le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e adesso esorta la cittadinanza a mobilitarsi contro i manifestanti a fianco della polizia. Affacciato al balcone del palazzo presidenziale, non sembra vacillare: «Da qui non ci muoviamo perché siamo stati eletti dal popolo»