«Nuovo» e «audace»: così il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha definito il piano del presidente Donald Trump per il futuro della Striscia di Gaza. Volato a Gerusalemme per il suo primo viaggio mediorientale da numero uno della diplomazia Usa, Rubio ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu per discutere di Palestina e degli equilibri nella regione. Sia Rubio che Netanyahu hanno difeso la controversa proposta di Trump per la sorte degli oltre due milioni di palestinesi a Gaza: trasferirli nei paesi arabi limitrofi e mettere nelle mani degli Stati Uniti la gestione del territorio.

L’asse Rubio-Netanyahu «Trump ha chiaramente espresso la sua visione per Gaza», ha detto Rubio, «può aver sorpreso e scioccato molti, ma quello che non può continuare è lo stesso ciclo in cui ci ripetiamo più volte e finiamo nello stesso identico posto». Il cambiamento nell’approccio al conflitto israelo-palestinese rivendicato dal segretario di Stato trova pieno appoggio in Netanyahu, secondo cui la tabella di marcia di The Donald è «l’unica praticabile per consentire un futuro diverso». Il premier israeliano e ilministro Usa sono d’accordo anche su un altro punto: l’esclusione di Hamas dalla futura amministrazione nella Striscia. «Hamas non può continuare ad essere una forza militare o di governo». ha affermato Rubio, «finché rimarrà come forza che può governare o che può amministrare, la pace diventa impossibile». Alla richiesta di Rubio di «sdradicare ed eliminare» il movimento islamista, fa eco Netanyahu che promette di aprire «le porte dell’inferno» se Hamas non restituirà tutti gli ostaggi ancora nelle sue mani (espressione tra l’altro già usata dallo stesso Trump in passato).

Scacchiere mediorientale – L’alleanza tra Stati Uniti e Israele sembra essersi rafforzata con l’avvio della nuova amministrazione Trump. Tanto che la Casa Bianca ha dato il via libera all’invio a Tel Aviv di 900 kg di bombe pesanti, fornitura in precedenza bloccata dall’amministrazione Biden nel tentativo di diminuire il rischio di vittime civili a Gaza. A rafforzare ulteriormente il legame tra i due Paesi è un nemico comune: «Concordiamo sul fatto che gli ayatollah non debbano avere la bomba nucleare e che la minaccia iraniana sulla regione vada respinta». ha dichiarato Netanyahu. Nell’ultimo anno la posizione dell’Iran in Medio Oriente si è pesantemente indebolita e né Usa né tantomeno il governo israeliano vogliono che riprenda forza e influenza. Anche in quest’ottica nel loro incontro Rubio e Netanyahu hanno sottolineato il merito di Israele nella caduta di Bashar al Assad: neutralizzando Hezbollah in Libano, l’esercito israelliano ha facilitato la rimozione del dittatore siriano e stroncato l’asse della Resistenza filo-iraniano.

Il ruolo degli altri paesi arabi  Rubio ha scelto di saltare le visite istituzionali in Egitto e Giordania, entrambi alleati degli Stati Uniti. Il Cairo e Amman si sono dette contrarie all’attuazione del piano di Trump a Gaza: è proprio in questi due Paesi che si riverserebbe la maggior parte degli sfollati palestinesi, disturbando i fragili equilibri tra le comunità locali e i profughi che già da anni abitano lì. Il presidente statunitense ha minacciato in ritorsione di imporre sanzioni ai due Stati, tra i principali beneficiari degli aiuti americani nella regione. In risposta alle pressioni di Trump, l’Egitto, insieme ad altri Paesi arabi e con il sostegno della Banca Mondiale, sta elaborando un piano alternativo a quello del tycoon. Il Cairo spinge per non dislocare altrove la popolazione gazawa, ma piuttosto di pensare alla ricostruzione della Striscia sotto un’amministrazione palestinese che escluda Hamas. Il 27 febbraio a Riyadh è previsto un summit arabo in cui verrà presentato questo futuro alternativo per Gaza: resta da capire se prevarrà il fantasma della soluzione a due stati o la promessa di una “Costa Azzurra del Medio Oriente”.