Renzi bocciato, Conte poco prudente. Zingaretti promosso senza remore. Abbiamo fatto quattro chiacchiere sulla crisi di Governo con Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza Politica all’Alma Mater Studiorum di Bologna. Il politologo, con l’ironia che lo contraddistingue, ci ha detto la sua sui protagonisti, le procedure e le prospettive della vicenda che da settimane sta bloccando il Paese.

Buongiorno Professore, prima di tutto le pagelle dei principali attori della crisi. Che voto dà a Matteo Renzi?

«2». E non aggiunge altro n.d.r.

E al leader del Pd, Nicola Zingaretti? Secondo lei come si è mosso?

«A lui darei un 7 meno, perché è stato sempre coerente con il sostegno al Governo Conte e lo ha espresso in maniera esplicita, sobria. Soprattutto si è dimostrato un capo di partito serio: ha saputo tenere insieme il Pd, che pure ha delle tensioni al suo interno, consapevole di fungere da perno dell’esecutivo. E io apprezzo molto la serietà, soprattutto in una politica che ha troppi elementi di faciloneria, di superficialità, di ricerca della popolarità.»

Cosa mi dice invece del premier uscente Giuseppe Conte?

«A lui do un 6+: la sufficienza se la merita. Evidentemente, però, ha esagerato e ha fatto l’errore di pensare di poter trattare Renzi come aveva fatto con Salvini, e con un po’ di supponenza. Non ha capito qual era la natura della sfida. Probabilmente sarebbe dovuto essere più conciliante».

E i 5 Stelle? Il movimento sembra essere sull’orlo di una spaccatura…

«Questo è quello che dite voi giornalisti in continuazione, ma non è così. Non avete capito che quello è un movimento molto complicato al suo interno, che non è mai stato un partito e quindi non ha mai avuto un luogo vero di discussione. Ci sono posizioni politiche di vario genere, data la sua natura aperta: è entrato di tutto e, di conseguenza, esce di tutto. Come gruppo nel suo insieme meritano la sufficienza, alcuni dirigenti meritano qualcosa di più e altri qualcosa di meno. A Alessandro Di Battista do 4 e sono contento di darglielo».

Ma questa crisi era evitabile?

«No, semplicemente perché Renzi questa crisi l’ha voluta, l’ha perseguita deliberatamente grazie a quel mucchietto di voti che aveva, quindi non si poteva fare granché».

In ogni caso siamo arrivati alla resa dei conti. Oggi si riunisce il tavolo, ma cosa succede una volta concordato il programma? Si dovrà ripartire con l’ennesima consultazione per accordarsi sul nome?

«Non penso, perché credo che il nome lo abbiano già fatto, e il nome è Conte. Si ripartirebbe daccapo solo nel caso in cui Renzi, a questo punto pubblicamente, ponesse un veto sull’Avvocato. O se il programma di Governo cambiasse così tanto da rendere necessario trovare un altro nome, ma mi parrebbe francamente strano e improprio. Oltretutto, essendo formato dagli stessi partiti che hanno sostenuto Conte, sarebbe un governo indebolito in partenza».

Ma questa procedura scelta da Roberto Fico (quella appunto del tavolo di confronto su un programma tra i vari gruppi parlamentari) fa parte del consueto iter politico?

«No, assolutamente. È una sua innovazione che mi pare molto interessante e giusta. Apprezzo molto la strada da lui scelta: è un uomo intelligente e ha capito che dopo “i confessionali” era arrivato il momento di dire le cose esplicitamente, anche in modo da accelerare la procedura. Anche perché era inutile continuare a rimbalzare da un gruppo all’altro: metterli gli uni di fronte agli altri a discutere su dei punti programmatici li costringe a scoprire le carte, smetterla di parlare solo con i giornalisti e parlarsi finalmente tra di loro».

Detto ciò, quali prospettive di futuro si aspetta?

«Questo è un Paese che può risorgere in maniera difficile ma tutto sommato positiva, se sa usare bene questa valanga di soldi che devono arrivare (i 209 miliardi del Recovery, n.d.r). Ma può anche crollare definitivamente, perché nel momento in cui non riesci a usare quei soldi il Paese è in enorme difficoltà. Poi ci sono due elementi da non dimenticare: il primo è che anche se gli europei del nord ci guardano, giustamente e qualche volta in maniera eccessiva, con supponenza, l’Italia è importante: è uno degli stati fondatori dell’Unione Europea ed è comunque pesante dal punto di vista del contributo economico e culturale. L’altro elemento, che dimentichiamo sempre, è che il prodotto interno lordo italiano è sempre sottovalutato, perché questo è un Paese di balordi che non pagano le tasse: continua a esserci un quarto degli italiani che evade. In più, se guardiamo ai numeri, siamo un popolo di risparmiatori, quindi c’è del “grasso” che potrebbe attutire le difficoltà. Ma è necessario uno sforzo di disciplina collettiva».