Di Giacomo Detomaso

C’erano una volta i giornali del pomeriggio. C’era una volta La Notte. Erano i primi anni Cinquanta, il governo De Gasperi stava per far approvare la cosiddetta «legge truffa»: un sistema elettorale che avrebbe trasformato la Democrazia Cristiana in un partito invincibile. Le forze di sinistra cominciavano ad insidiare il potere della “Balena Bianca”, facendo correre un brivido lungo la schiena degli industriali italiani. Uno di loro, Carlo Pesenti, ebbe l’idea di pubblicare un giornale in vista delle elezioni del 1953, con lo scopo di far accettare all’opinione pubblica quella legge. Il giornale avrebbe dovuto chiudere subito dopo, ma ebbe lunga vita.

A guidare la giovane redazione de La Notte fu scelto Nino Nutrizio, «un uomo a caldo in questo mondo di pesci findus», come lo definì Indro Montanelli. Noto soprattutto come cronista sportivo, e in quanto tale accolto con scetticismo, Nutrizio riuscì a spingere il nuovo giornale fino a una tiratura di 250.000 copie, 80.000 delle quali vendute nella sola Milano. Al suo interno veniva dato ampio spazio alla cronaca, allo sport e alla Borsa – in un’epoca senza web e senza schermi nelle banche, le sue tabelle offrivano la prima opportunità di verificare la quotazione dei titoli dopo la chiusura delle contrattazioni mattutine. Venivano pubblicate anche le estrazioni del lotto, in anticipo rispetto alla Rai. Quanto agli spettacoli, un’intera pagina era dedicata ai programmi dei cinematografi milanesi, un’altra alla televisione. Notevole l’attenzione per le fotografie, come testimonia il suo archivio, custodito presso il Centro Apice dell’Università statale di Milano e presentato nella Sala Napoleonica lo scorso 24 ottobre.

Video di Francesco Caligaris

 

Il principale rivale de La Notte, nella sua fascia oraria, era rappresentato dal Corriere d’Informazione, appartenente al gruppo del Corriere della Sera. I due giornali furono entrambi testimoni, il 10 giugno 1981, di un evento che tenne l’Italia col fiato sospeso. Nella provincia romana un bambino di sei anni di nome Alfredino cadde in un pozzo artesiano: i tentativi di salvataggio vennero trasmessi per tre giorni in diretta tv. Un ex tipografo di piccola corporatura, Angelo Licheri, accettò di calarsi a testa in giù per tentare il salvataggio. Proprio mentre il Corriere d’informazione si apprestava a chiudere il suo numero, Licheri riuscì ad afferrare la mano del bambino. Si andò in stampa col titolo «Alfredino è salvo». In realtà la stretta tra le due mani durò ben poco e lo sventurato precipitò ancor più giù: 28 giorni dopo fu recuperato il cadavere. A fine anno il giornale chiuse i battenti e quell’episodio rimase il simbolo della presunta inadeguatezza dei quotidiani pomeridiani in un mondo sempre più dominato dalla tv. La Notte, invece, dopo l’avvicendamento di tre proprietari – da Pesenti a Edilio Rusconi, da quest’ultimo a Paolo Berlusconi – e sette direttori, capitolò solo nel 1995, stritolato dagli alti costi di distribuzione e dalla concorrenza dei nuovi media.

C’erano una volta, in Italia, i giornali del pomeriggio. Ma in alcuni angoli del globo ci sono ancora. Le Monde, raffinato e votato all’approfondimento, continua ad approdare nelle edicole francesi attorno alle 14 – con la data del giorno successivo – ed è uno dei pochi quotidiani d’Europa col bilancio in attivo. Il suo direttore, Mathieu Pigasse, è convinto: «Nessun media è stato mai ucciso da un altro media. La radio non ha ucciso la carta stampata, la tv non ha ucciso la radio, il web non ha ucciso né la radio né la tv. La stampa ha un futuro a patto che abbia un forte brand con cui monetizzare e diversificare, dall’editoria agli eventi».