La mappa del World Press Freedom Index del 2021 (screen dal sito Reporters sans frontières)

Lo stato della libertà di stampa in Italia è «soddisfacente», ma sotto la media dei Paesi dell’Unione Europea. È quanto stabilisce il World Press Freedom Index 2021 di Reporters sans frontières, pubblicato oggi, 3 maggio, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa. L’Italia conferma il 41esimo posto dello scorso anno, su 180 Stati interessati dal report. Il punteggio è di 23.39, in una scala da 1 a 100 in cui a un valore più basso corrisponde maggior libertà per i giornalisti: un risultato che evita che la situazione sia considerata «problematica» (così sarebbe stato se avesse superato i 25 punti), ma che non regge il confronto con gli altri Paesi Ue, molti dei quali ai primissimi posti dell’indice. Su 27 Stati membri, l’Italia è 20esima, quasi 5 punti in più rispetto alla media dell’Unione (18.47).

«Violenza in costante aumento» – Sul punteggio italiano influiscono «gli attacchi, le minacce di morte e i tentativi di intimidazione da parte delle organizzazioni criminali nei confronti dei giornalisti, che hanno reso necessaria una scorta 24 ore su 24 per una ventina di essi». Ma Rsf evidenzia anche «l’aumento costante della violenza contro i reporter. A Roma, alcuni giornalisti sono stati aggrediti durante il loro lavoro da gruppi neofascisti e attaccati verbalmente durante le manifestazioni anche da membri di un partito di governo come il Movimento 5 Stelle». Durante la pandemia «i media italiani sono stati in grado di lavorare liberamente, a parte una maggior difficoltà nell’accesso dei dati provenienti da agenzie pubbliche. Ma il maggior problema sono stati i negazionisti del coronavirus, che hanno spesso minacciato e aggredito fisicamente i giornalisti, soprattutto durante le ondate di protesta dell’ottobre e novembre 2020».

Scandinavia in testa – Al primo posto dell’indice, per il quinto anno consecutivo, c’è la Norvegia, con un punteggio di 6.72, seguita da Finlandia e Svezia. Ma solo 12 Paesi su 180 presentano una situazione «buona» (con un indice inferiore ai 15 punti). L’anno scorso erano 13, ma nel 2021 è stata “declassata” la Germania a causa degli attacchi ai reporter durante le proteste contro i lockdown. In generale, secondo Rsf, «l’Europa continua a essere il continente con più libertà di stampa», ma si vedono dei segnali preoccupanti, come la stretta sulla libertà di espressione nell’Ungheria di Viktor Orban: «Una decisione sfacciata, davanti alla quale le istituzioni europee sembrano prive di potere. La procedura sanzionatoria contro l’Ungheria per violazione dello stato di diritto non ha avuto seguito, e il meccanismo che condiziona l’accesso ai fondi europei al rispetto delle libertà fondamentali non fa riferimento alla libertà di stampa». Denunciata anche la situazione in Polonia, dove «alcuni media di proprietà statale, come TVP, sono diventati un mezzo di propaganda governativa», nonché l’impunità per il presunto mandante dell’assassinio di Ján Kuciak, in Slovacchia.

 

Effetto Bolsonaro – A livello mondiale, si segnala il peggioramento da «problematico» a «difficile» del Brasile «a causa del vilipendio e della pubblica umiliazione dei giornalisti da parte del presidente Jair Bolsonaro». Gli ultimi quattro posti sono occupati dalla Cina («che continua, a livelli senza precedenti, la sua sorveglianza, censura di internet e propaganda») e dalle dittature di Turkmenistan, Nord Corea ed Eritrea. Il Paese che è sceso di più posizioni (19, ora al 119esimo posto) è la Malesia, dove un recente decreto “anti-fake news” «ha permesso al Governo di imporre la propria versione della verità».

87 domande, 7 categorie – Rsf compila il World Press Freedom Index ogni anno dal 2002. I risultati vengono raccolti mediante un questionario da 87 domande, fatto compilare a professionisti dei media, avvocati e sociologi. Il punteggio complessivo è una media dei valori ottenuti in sette categorie: pluralismo, indipendenza dei media, ambiente e autocensura, quadro legislativo, trasparenza, infrastrutture, abusi.